martedì 31 marzo 2015

Yoox: nasce il leader dell'online luxury

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Con i complimenti del Presidente del Consiglio Matteo Renzi, Yoox ha sottoscritto oggi un accordo con Compagnie Finaciere Richemont per fondersi con la controllata Net-A-Porter, principale retailer a livello mondiale di lusso on-line. Nella nota congiunta diffusa dai due gruppi si annuncia la nascita di un leader globale indipendente con ricavi aggregati per 1,3 miliardi di euro.

La nota, ripresa dal Corriere della Sera, illustra poi i dettagli dell'operazione:

"A seguito della fusione tra Yoox e Net-A-Porter, Richemond deterrà il 50% del capitale del nuovo gruppo che verrà rinominato Yoox Net-A-Porter: il gruppo continuerà ad essere quotato alla Borsa di Milano e manterrà sede in Italia. Lo si legge nella nota che annuncia l’operazione. «Al fine di garantire l’indipendenza del nuovo Gruppo - viene spiegato - i diritti di voto esercitabili da Richemont saranno limitati al 25% e Richemont non potrà nominare più di due membri del Consiglio di Amministrazione su un minimo di 12»".

Resta a bordo l'attuale fondatore e a.d. di Yoox, Federico Marchetti, che nel nuovo asset del gruppo sarà amministratore delegato affiancato da Natalie Massenet, fondatrice e presidente esecutivo di Net-A-Porter, che sarà presidente. Completa la fusione un aumento di capitale fino a 200 milioni di euro, promosso per finanziare nuove opportunità di crescita e integrazione, anche con l'ingresso di nuovi soci.

Sempre secondo quanto riportato dal Corriere, "Nel 2014 l’ebitda aggregato adjusted delle due società, che operano nelle vendite on-line di abbigliamento di lusso, è stato pari a 108 milioni di euro. Dalla fusione sono attese sinergie a regime per circa 60 milioni a partire dal terzo esercizio dal completamento della fusione. Si prevede che il nuovo gruppo potrà contare su una base di oltre 2 milioni di clienti a livello globale e la possibilità di raggiungere un’audience di oltre 24 milioni di visitatori unici al mese. La fusione è condizionata alle approvazioni delle autorità competenti e all’approvazione da parte dell’assemblea degli azionisti di Yoox. Il closing è atteso per settembre 2015. Goldman Sachs è stato advisor finanziario di Yoox, e d’Urso Gatti e Bianchi Studio Legale Associato ha svolto il ruolo di advisor legale. Lazard e Nomura hanno agito in qualità di advisor finanziari di Richemont, Slaughter and May e Bonelli Erede Pappalardo hanno agito in qualità di advisor legali."

Secondo Marchetti «si apriranno ora ulteriori prospettive di crescita» poichè «l’unione delle competenze distintive permetterà inoltre di rafforzare ancora di più il legame con i marchi del lusso, offrendo loro maggiori opportunità su una piattaforma indipendente, completa e specializzata, che opera a livello globale». Soddisfazione anche per aver mantenuto quotazione e sede in Italia.

E' arrivato anche il commento di Johann Rupert, presidente di Richemont: «Richemont è stato un pioniere nel luxury e-commerce, prima come azionista di minoranza di Net-A-Porter ai suoi inizi poi come azionista di controllo dal 2010. Siamo orgogliosi dei risultati raggiunti da Net-A-Porter, sotto la guida di Natalie Massenet, con il valido supporto di un fantastico team di professionisti. I giganti della tecnologia spingono continuamente al cambiamento i modelli di business consolidati. È per questo che riteniamo importante accrescere la nostra dimensione e rafforzare la leadership per preservare l’unicità del settore del lusso. La fusione tra i due leader darà vita ad una piattaforma indipendente e neutrale per un cliente sofisticato amante dei brand del lusso».

La Fondatrice e Presidente Esecutivo di Net-A-Porter, Natalie Massenet, ha aggiunto: «Oggi, abbiamo aperto le porte del più grande luxury fashion store al mondo. È uno store senza confini geografici, che non chiude mai e che connette, ispira e offre a milioni di clienti nel mondo, appassionati di stile, l’accesso ai migliori brand della moda. Lo store rappresenta per i brand più affermati così come per quelli emergenti la più grande vetrina interattiva a livello globale. Insieme con i nostri team di comprovata esperienza in ambito tecnologico, logistico e di contenuti editoriali, stiamo ridefinendo il panorama fashion media e retail. Il modo migliore per prevedere il futuro della moda è quello di crearlo».

domenica 29 marzo 2015

L'Asia mette il turbo con AIIB

L’Australia pianifica di entrare a far parte della AIIB, Asian Infrastructure Investment Bank, l’istituto finanziario che vede la Cina come Colonna fondante. Ma le contrattazioni per definire le condizioni di ingresso non nascondo alcune tensioni, poiché l’illustre alleato australiano, gli Stati Uniti d’America, risulta essere fortemente in tensione per l’enorme importanza e potere che verrebbe messo a disposizione della Cina.

Precisamente, l’ufficio del primo ministro australiano ha dichiarato come il governo abbia deciso di controfirmare un accordo che permetterà al governo di partecipare alle negoziazioni per definire e formare la AIIB.

Tale decisione segue i movimenti visti nei mesi scorsi da UK, Francia, Germania, Italia e Corea del Sud. Ufficiali americani non hanno nascosto forti perplessità nei confronti dei propri alleati, incoraggiandoli a mantenere le distanze dalla futura banca asiatica fintantoché Pechino non chiarirà, con la trasparenza che spesso manca in Cina, il coinvolgimento del governo cinese nell’istituto, in particolare se sarà garantita alla Cina una gestione attiva dei capitali o meno. Gli ufficiali americani vedono il lancio della AIIB come un tentativo di indebolire l’influenza e la credibilità della World Bank.

Questo weekend è stato particolarmente bollente. Il primo ministro russo, Igor Shuvalov, ha dichiarato che la Russia parteciperà alla AIIB. Pochi giorni prima, il ministro delle finanze cinese ha indicato altri paesi come futuri membri tra cui: Danimanca, Brasile e Paesi Bassi.

Seppur il mondo occidentale ammetta come nei mesi scorsi ci siano stati parecchi passi in avanti in termini di sviluppo e trasparenza dell’istituto asiatico, alcuni temi devo ancora essere smarcati. Su tutti, il disegno direttivo della banca e chi avrà l’autorità di prendere le decisioni circa gli investimenti.

L’ultimo annuncio sembra avere un peso strategico politico non indifferente, quello del Giappone. Il Giappone sembrava essere uno dei paesi più lontani da un accordo con la futura banca asiatica, ma un piccolo segnale di apertura è arrivato direttamente dal ministro delle finanze giapponese, Taro Aso, che ha spiegato come il Giappone “potrebbe considerare relazioni preliminari di ingresso” nel caso in cui i problemi di governance fossero risolti.

Il peso degli investimenti mondiali sembra dunque avere una direzione chiara e gli ultimi annunci mostrano come l’occidente, a prescindere dai legami socio-politici, voglia prendere parte all’enorme progetto di sviluppo che si sta delineando in Asia.

venerdì 27 marzo 2015

Perché la Fed non è ancora pronta ad alzare i tassi di interesse

fedNel suo articolo su Ilsole24ore dello scorso 26 marzo (link) Vito Lops presenta un’interessante analisi sull’esitazione delle banche centrali (solo di due in realtà: Fed e Bank of England) nell’intraprendere un processo di normalizzazione della propria politica monetaria. Detto con le parole di Lops “perché le banche centrali hanno paura ad alzare i tassi di interesse?”. La tesi del giornalista è semplice: il perdurare di tassi di interesse bassi (o addirittura negativi) alimenta possibili bolle (finanziarie e reali) pronte ad esplodere non appena le banche centrali stesse si appressassero a rialzare i tassi di interesse. E come esempio si riporta proprio la recente crisi finanziaria globale cominciata con la crisi dei subprime nel 2007: “i derivati subprime venduti dalle banche Usa in tutto il mondo sono collassati dopo che la Federal Reserve ha iniziato ad alzare i tassi di interesse”.

E’ vero. Condizioni accomodanti per un lungo arco temporale possono “incentivare” una assunzione di rischio eccessiva e non/mal gestita da parte degli operatori di mercato. Ma, si potrebbe ribadire, la politica monetaria ha le sue regole e i suoi obiettivi da rispettare che, in generale, sono (quasi sempre) due: inflazione e occupazione/crescita economica. E prima della crisi del 2007 il banchiere centrale non aveva null’altro in mente.

Delle tante lezioni che in questi anni abbiamo imparato ce n'è una fondamentale per i banchieri centrali di tutto il mondo: la politica monetaria non può prescindere da considerazioni relativa alla stabilità finanziaria del proprio sistema, e in un mondo sempre più globalizzato, anche degli altri sistemi finanziari. In altre parole, l’accumularsi di squilibri eccessivi nel prezzo delle attività e/o nel livello del credito, segnali della nascita di una potenziale “bolla”, non possono più essere ignorati da chi gestisce la politica monetaria, soprattutto di un paese come gli Stati Uniti. Dall’altra parte, però, non possono essere neanche uno degli obiettivi da perseguire.

C’è una cosa molto interessante, e che condivido, nell’articolo di Lops ed è relativa all’impatto che una stretta monetaria negli Stati Uniti può avere sui paesi emergenti: “I primi a soffrire di una stretta monetaria negli Usa saranno sicuramente i Paesi emergenti, che hanno un forte debito in dollari e che rischiano di non poter onorare il debito in una valuta che varrà di più dopo un rialzo dei tassi Usa rispetto alle divise locali emergenti”.

E’ vero. Ma dire che questo sia uno dei fattori principali che trattiene la Fed dall’alzare i propri tassi di riferimento mi sembra un po’ troppo forte, forse. Tra l’altro i paesi emergenti potrebbero beneficiare dell’ingente quantità di liquidità addizionale che sarà creata con il QE della BCE. Liquidità addizionale immessa nel sistema finanziario globale visto che la Fed per ora non ha in mente di ridurre la dimensione del proprio portafoglio di politica monetaria.

In realtà ritengo che ci siano soprattutto delle motivazioni interne che possano spiegare l’attesa di un rialzo dei tassi da parte della banca centrale più influente del mondo. Nella conferenza stampa dello scorso 18 marzo il presidente della Fed Yellen ha specificato che l’aver rimosso la parola “patient” nello statement con cui vengono annunciate le manovre di politica monetaria non vuole dire che la Fed sia diventata “impatient”. Sebbene abbiano modificato la propria forward guidance (possibili decisioni sui tassi dal secondo meeting successivo all'ultimo e non più dal terzo), la Fed non si è legata le mani, non si è pre-committed sulle sue prossime mosse: il timing e l’entità del rialzo dei tassi non sono stati pre-determinati. Come sottolineato dalla Yellen, la decisione sul rialzo dei tassi dipenderà dalla valutazione del FOMC sull’andamento del mercato del lavoro e dell’inflazione (realizzata e attesa) in relazione agli obiettivi di piena occupazione e di crescita dei prezzi al 2 per cento.

Il mercato del lavoro statunitense è in buone condizioni, come segnalano i più recenti dati (tasso di disoccupazione in progressivo calo e pari al 5,5% a febbraio), mentre l’inflazione e il PIL ancora stentano. Proprio oggi i dati finali sul PIL nell’ultimo trimestre mostrano una crescita annualizzata del 2,2%, inferiore alle attese di mercato (+2,2%), mentre l’inflazione (indice PCE) ha confermato un calo annualizzato dello 0,4%.

Il punto è proprio questo: forse l’economia statunitense non sta andando così bene da giustificare l’inizio di una stretta monetaria sui tassi. Per ora.

mercoledì 25 marzo 2015

Pirelli & Co.: lo shopping di Pechino in Italia

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È di questi giorni la notizia che Chem China, azienda cinese a controllo statale specializzata in prodotti chimici, acquisirà il controllo del 26,2% di Pirelli, quota finora detenuta da Camfin.

L’accordo è però solo l’ultimo di una lunghissima serie di investimenti che hanno visto aumentare a vista d’occhio la presenza del Dragone nell’economia italiana.

In questi ultimi anni, lo shopping di Pechino è stato prevalentemente diretto a settori tradizionali come l’energia, le infrastrutture e le telecomunicazioni. A marzo del 2014 People's Bank of China ha rilevato circa il 2% di Eni ed Enel, quote a cui ora si aggiungono partecipazioni in Telecom, Prysmian, Fca, Generali. Mediobanca e Terna. L'investimento più rilevante è stato rappresentato dall'acquisto per due miliardi del 35% di Cdp Reti, la società che detiene rispettivamente il 30% di Snam e il 29% di Terna. 400 milioni sono stati sborsati da Shanghai Electric per il 40% di Ansaldo Energia controllato da Cdp attraverso il Fondo Strategico italiano. Il settore del lusso non è stato certo dimenticato: Ferretti, il noto produttore di yacht, è stato comprato nel 2012 da Weichai Group, altri investimenti sono stati fatti in Krizia e Ferragamo, mentre si vocifera anche di una possibile entrata a controllo di Borsalino nei prossimi mesi.

Secondo Bloomberg, negli ultimi 12 mesi in Italia sono arrivati in totale quasi 13 miliardi di euro, più di quanto Pechino abbia investito negli Stati Uniti e nel Regno Unito.

Vittima del momento di crisi che sta bloccando gli investimenti domestici e che ostacola il mantenimento dei campioni nazionali sotto il tricolore, l’Italia è diventata il bersaglio preferito della Cina perché mette a disposizione le competenze, la capacità di innovazione industriale e i brand rinomati che il Dragone ricerca disperatamente fuori dai suoi confini.

Queste crescenti attenzioni della Cina per l’Italia dimostrano che il nostro Paese ha ancora dei settori industriali interessanti, ma non può non generare timori in merito al fatto che nel tentativo di uscire dal clima di crisi e di mancanza di liquidità, aziende simbolo dell’Italia stiano ammainando bandiera e si stiano vendendo al miglior offerente, in questo caso la Cina, ben contenta di approfittarne.

domenica 22 marzo 2015

Petrolio e QE spingono l'OCSE a rivedere le previsioni di crescita dell'Eurozona

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L'Ocse rivede le stime sulla crescita dell'area euro rispetto a quelle di Novembre 2014.

L'Organizzazione con sede a Parigi, tramite l'Interim Economic Assessment (pubblicato il 18 Marzo 2015), ha alzato le previsioni sul Pil dell'Eurozona ad un +1,4% per il corrente anno e un +2% per il 2016.

Rispetto alla precedente diffusione il 2015 guadagna l'1,1% mentre il 2016 mostra un miglioramento rispetto di 1,7 punti percentuali.

Queste revisioni sono state determinate da due particolari avvenimenti: il calo del prezzo del petrolio ed il massiccio acquisto di titoli da parte della BCE.

In particolare, l'azione promossa dalla Banca Centrale Europea ha come effetto non solo una maggiore circolazione di capitali (i titoli sono acquistati con capitale ex-novo), ma anche di ridurre il costo dei prestiti facilitando l'accesso al credito

Per l'Italia, l'Organizzazione per la Cooperazione e lo Sviluppo Economico prevede un Pil in crescita dello 0,6% quest'anno, 0,4 punti percentuali in più della vecchia stima, e dell'1,3% nel 2016 (1% nell'economic outlook di quattro mesi fa).

Stime, che seppur positive sono ancora ben al di sotto della media dell'area euro, per questo l'ottimismo deve essere cauto in quanto la crisi che ha colpito il Belpaese negli ultimi  sette anni ha lasciato voragini nell'economia nazionale che ha bisogno di ritmi di crescita ben più alti per poterli colmare. Il 2014 si è confermato un anno di recessione registrando una contrazione del Prodotto Interno Lordo italiano di 0,4 punti percentuali.

La Germania si presenta ancora una volta economia leader nel processo di crescita dell'area Euro, infatti rispetto al report precedente l'Ocse prevede un +0,6% (da 1,1% a 1,7%) per il 2015 e un +0,4% ( da 1,8% a 2,2%).

Anche la Francia tiene il passo, mostrando previsioni migliori di quelle italiane. Infatti per i transalpini l'Ocse prevede un Pil in crescita dell'1,1% per quest'anno e dell'1,7% per l'anno prossimo.

Lo scenario economico di questi mesi rappresenta una opportunità per tutta l'Eurozona per uscire dalla stagnazione economica caratterizzata da una inflazione troppo bassa e mercati del lavoro deboli.

Per questo l'Organizzazione, nel report appena pubblicato, esorta i governi europei al sostegno degli investimenti e del processo di riforme, come indicato nel Piano Junker.

venerdì 20 marzo 2015

ETF: marketing o finanza?

Gli ETF si stanno diffondendo in modo aggressivo sui mercati, specialmente negli ultimi anni, e con altrettanta forza subiscono critiche di diverso genere. Ultima voce illustra che ha aspramente attaccato questi fonti d’investimento è quella dello storico investitore John “Jack” Bogle, fondatore del gigante Vanguard e creatore del primissimo fondo indicizzato al mondo.

Jack ha definito con estrema sintesi ed efficacia gli ETF come “la più grande innovazione di marketing del 21esimo secolo”.

ETF è l’acronimo di Exchange Trated Fund, un particolare tipo di fondo d’investimento che replica un indice di riferimento (benchmark) attraverso una gestione patrimoniale passiva. Tale strumento è negoziabile nel mercato dei capitali come un qualsiasi titolo azionario.

Mr. Jack Bogle indica agli investitori di prestare massima attenzione agli ETF, affermando che gli unici vincitori da queste forte diffusione sono i broker e i dealer nei mercati. Viene riconosciuto il beneficio degli ETF di essere strumenti con bassi costi di commissione, al contrario dei fondi d’investimento “classici” accessibili solo a pochi, ma forti dubbi emergono se si considera la loro utilità in ottica di investimento nel lungo termine.

Al contrario delle partecipazioni ai tradizionali fondi d’investimento, gli ETF posso essere acquistati e venduti in ogni momento. Ciò creerebbe la tentazione di fare “trading” con tale strumento, incorrendo a più alti costi di commissioni per lo scambio sui mercati. Mr. Bogle sottolinea come gli ETF siano la più grande innovazione di marketing del ventunesimo secolo, ma è fortemente dubbioso sulla loro reale utilità per gli investitori. Il suo commento stride di fronte alla rapida crescita e diffusione di questi fondi, quantificata in 3 mila miliardi di dollari. L’attacco del guru americano è indirettamente rivolto anche a Vanguard, la società che ha fondato nel 1974, che ha attualmente circa il 16% del proprio patrimonio in ETF.

Mr. Bogle concede però uno spiraglio ai questi particolari fondi qualora effettivamente un investitore decida di non scambiare frequentemente lo strumento sui mercati, riportando dunque l’intera decisione d’investimento ai più tradizionali fondi che, per loro natura, non permettono di vendere le quote entro una certa data definita.

La critica si avvicina ad una delle più illustre segnalazioni fatte nello scorso anno da Larry Fink, vertice di BlackRock, la più grande società di gestione fondi, che ha spiegato come gli ETF (con marginazione) contengono strutturalmente dei problemi che potrebbero ribaltare l’intero settore.

La lista di illustri investitori che aspramente hanno attaccato gli ETF è folta, ma ciononostante l’idea di poter acquistare con ridotti costi di commissioni una fetta di un fondo di investimento sembra veicolare alla perfezione la potenza di marketing, favorendo una sempre maggiore diffusione sui me

mercoledì 18 marzo 2015

Le regole per il rientro dei capitali



È arrivata venerdì scorso la tanto attesa (?) circolare dell’Agenzia delle Entrate sulla voluntary disclosure, la procedura per il rientro dei capitali dai “porti franchi” per contrastare l’evasione fiscale.

La circolare fornisce le prime indicazioni in merito alle modalità di accesso alla procedura, le cause di inammissibilità e le imposte e sanzioni amministrative.

Potranno accedere alla procedura di collaborazione volontaria internazionale persone fisiche, enti non commerciali, società semplice e associazioni equiparate che sono fiscalmente residenti nello stato italiano e che hanno violato gli obblighi di contribuzione nazionale. La facoltà di accedere sarà ovviamente preclusa nel caso l’interessato sia venuto a conoscenza dell’inizio di ispezioni o verifiche in merito alla sua situazione di contribuente.

Sarà possibile avvalersi della voluntary disclosure per tutti i periodi di imposta per cui non sono ancora decaduti i termini per l’accertamento o per la contestazione.

Le richieste di attivazione dovranno essere presentate entro il 15 settembre 2015 in modalità telematica a cui dovrà poi seguire nei successivi 30 giorni l’invio della documentazione necessaria, accompagnata da una relazione che descriva nel dettaglio gli investimenti e le attività detenute illegalmente all’estero.

La procedura di collaborazione volontaria si perfezionerà con il pagamento degli importi dovuti.

Nei casi in cui il contribuente non versi quanto dovuto, gli Uffici notificheranno un avviso di accertamento e un nuovo atto di contestazione, con la rideterminazione della sanzione, entro il 31 dicembre dell’anno successivo a quello di notificazione dell’atto di contestazione o dell’invito, ovvero a quello di redazione dell’atto di adesione, anche nel caso in cui nel frattempo siano venuti a scadenza i termini ordinari. In tale sede, l’Ufficio dovrà procedere alla rideterminazione delle sanzioni dovute, valutando la graduazione della risposta sanzionatoria anche in funzione della condotta del contribuente e del venir meno dell’apporto collaborativo di quest’ultimo.

In caso di decesso del contribuente dopo il 31 maggio 2015, gli eredi potranno beneficiare di una proroga e potranno presentare richiesta di accesso alla procedura entro il 31 dicembre 2015. In tale situazione l’Ufficio potrà espletare l’attività di controllo entro il 30 marzo 2016.

Nel caso in cui il decesso si verifichi successivamente alla presentazione dell’istanza da parte del contribuente, la proroga di sei mesi opererà con riguardo ai termini previsti per gli adempimenti successivi all’istanza, necessari per il perfezionamento della procedura, compresi quelli riguardanti il pagamento, anche in forma rateale.

Ora le regole sono più chiare, aspettiamo di vedere quanti vorranno giocare.

Euro dollaro: fino a quando continuerà il deprezzamento della moneta europea?

Da inizio anno l’euro si è deprezzato del 12% contro il dollaro americano; quasi il 30% negli ultimi 12 mesi. Questa tendenza, cominciata già nel secondo trimestre dell’anno passato, sulle voci del cosiddetto “tapering” della Federal Reserve (FED), è stata rafforzata prima dall’annuncio (gennaio 2015) e poi dalla realizzazione del programma di acquisto di titoli pubblici (e privati) dell’Eurosistema (il famoso QE della BCE – marzo 2015).

La motivazione principale alla base di tale andamento è identificabile proprio nella divergenza delle politiche monetarie delle due principali banche centrali: FED e BCE. La prima, sostenuta dai positivi dati sull’economia americana (soprattutto sul fronte dell’occupazione), è pronta ad alzare i tassi ufficiali già nel secondo semestre di quest’anno; la seconda, invece, ha appena cominciato il suo programma di “allentamento quantitativo” con l’obiettivo di immettere circa 1.000 miliardi di euro nel sistema bancario ed espandere il bilancio fino a 3.000 miliardi di euro. La differenza è netta.

La divergenza delle due politiche monetarie si riflette sui mercati finanziari, domestici e internazionali, in vario modo. E il deprezzamento dell’euro è il primo e più evidente segnale.

Il grafico sottostante mostra l’andamento dei tassi forward su un overnight index swap (ovvero di un strumento a termine, che parte tra un anno e con durata un anno, che prevede lo scambio di un tasso fisso - tasso forward - contro uno variabile pari al tasso overnight durante la vita del contratto) nell’area dell’euro e negli Stati Uniti. In altre parole, questi strumenti di mercato monetario esprimono le aspettative sul valore medio del tasso overnight tra un anno per i prossimo 12 mesi. Dal grafico emerge chiaramente che già nel corso del 2014 le aspettative sui tassi overnight nell’area dell’euro e negli Stati Uniti cominciano a divergere. Negli USA il tasso forward (linea arancione) è aumentato dallo 0,30% di inizio 2014 a circa l’1,20% di questi giorni, mentre lo stesso tasso nell’area dell’euro (linea viola) è diminuito da 0,30% a -0,13%, arrivando addirittura in territorio negativo. L’evoluzione delle aspettative sui tassi di mercato overnight ha risentito proprio delle diversa stance di politica monetaria delle due banche centrale ed è stato il driver principale del deprezzamento dell’euro nei confronti del dollaro (linea rossa): con l’introduzione dei tassi negativi (giugno e poi settembre) e l’atteso annuncio (poi realizzato) del QE, la BCE ha influenzato le aspettative del mercato con il conseguente deprezzamento dell’euro fino a scendere sotto 1,05 dollari.

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Un simile fenomeno può essere osservato anche sul mercato obbligazionario nel quale al rialzo dei tassi sui titoli decennali americani si contrappone il calo dei tassi sui corrispettivi titoli dell’area dell’euro (Germania nel grafico sottostante).

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In questa situazione il deprezzamento della moneta europea potrebbe continuare, se non addirittura accentuarsi, nel momento un cui la FED deciderà di cominciare a realizzare la sua stretta monetaria. In molti, ormai, non considerano più un miraggio la parità tra le due valute. E si potrebbe andare anche oltre.

La vera domanda è se questo possa rappresentare un tasso di cambio di equilibrio e per quanto tempo.

Non si tratta solo di una questione tra due aree economiche. La questione è globale. Ci troviamo in un contesto macroeconomico in cui, da inizio anno, moltissime banche centrale di tutto il mondo hanno intrapreso un percorso di politiche monetarie espansive (Cina, India e molte altre). Solo la FED e la Bank of England (BoE) sembrerebbero le uniche banche centrali pronte a annunciare qualche manovra restrittiva se le condizioni delle rispettive economie lo consentiranno. Il mondo sembrerebbe quindi essere diviso in due blocchi: FED e BoE da una parte; BCE, BoJ (Bank of Japan) e resto del mondo dall’altra. In un contesto in cui il sistema finanziario globale vive in una situazione di ampia liquidità (per via di quella immessa finora e di quella che sarà ancora immessa dalla BCE e dalla BoJ), i diversi orientamenti dei banchieri centrali potrebbero comportare un movimento di flussi finanziari globali tra vari paesi e tra vari segmenti di mercato alla ricerca di una qualche situazione di equilibrio. Di certo sarà un periodo nel quale l’incertezza e la volatilità giocheranno un ruolo chiave; sempre se consideriamo risolto il problema “Grecia”.

lunedì 16 marzo 2015

Europa: occhi puntati su Italia e Grecia

Bandiera dell'EuropaOcchi puntati sull'Europa, sull'Italia e la Grecia in particolare.

Saranno Barclays, Credit Agricole, Goldman Sachs, Mps, Capital Services Banca per le Imprese e Royal Bank of Scotland i mandatari per il collocamento sindacato di un nuovo Btp benchmark a 15 anni con scadenza 1 marzo 2032 deciso dal Ministero del Tesoro italiano. 

"La transazione sarà effettuata nel prossimo futuro, in relazione alle condizioni di mercato", hanno precisato da Via XX Settembre. Il rendimento atteso del nuovo Btp 15 anni è di 12 punti base sopra il tasso del precedente benchmark marzo 2030.

"A mio avviso è possibile arrivare a un tasso di 1,60%", commenta un operatore raggiunto da Reuters. In quest'area, sempre secondo quanto si apprende dall’agenzia giornalistica, un secondo banker indica anche la possibile cedola, a segnale di come il pricing sarà probabilmente molto vicino alla pari.

Per quanto riguarda l'importo, il riferimento sono i 7 miliardi raccolti l'anno scorso nel lancio del Btp marzo 2030.

L'obiettivo sarebbe l’allungamento della vita media del debito pubblico italiano di 3-4 mesi già nel corso del 2015, con risparmi in termini di interessi che, già per quest’anno, potrebbero raggiungere i 4 miliardi di euro.

Ad oggi in europa Bce e Banche centrali nazionali hanno acquistato poco meno di 10 miliardi di titoli di Stato degli emittenti nazionali della zona euro, per lo più con scadenza decennale. La finestra per la nuova operazione appare particolarmente favorevole vista l’attuale assenza di concorrenza da parte di altri emittenti europei e l’effetto quantitative easing.

"E' un momento sicuramente propizio per un'emissione di questo tipo: nelle ultime sedute c'è stato un appiattimento della parte più lunga della curva dei rendimenti su tutti gli emittenti sovrani d'europa, per effetto del quantitative easing. Il Tesoro ha sfruttato il fatto che questa settimana non sono in agenda aste dal comparto periferico”, conclude Lattuga, uno degli operatori raggiunto da Reuters.

Perdura invece la tensione sul fronte Greco, mentre la Commissione europea ha avvertito che sulla Grecia “la situazione è seria”, lo stato ellenico ha versato oggi la rata di 560 milioni di euro del rimborso del prestito concesso dall’Fmi. Il governo ora dovrà effettuare un secondo rimborso pari a ulteriori 350 milioni e rifinanziare parte degli 1,6 miliardi di titoli a breve termine.

Occhi aperti.

domenica 15 marzo 2015

Economia: pareggio Italia-Spagna

Pareggio a 1,27%. Questo risultato in campo calcistico farebbe volare la notizia su tutte le testate dei quotidiani nazionali, data l’estrema superiorità sportiva spagnola e le ultime performance della nostra squadra nazionale. Seppur quindi con un eco diverso, il dato del pareggio è di grande valore. Il riferimento è il rendimento dei bond decennali arrivati questa settimana a quota 1,27% sia per l’italiano sia per quello spagnolo. Dunque lo spread tra i due strumenti e il bond tedesco è identico (97 punti base). E’ un segnale marginale di miglioramento della temperatura dell’ economia italiana, poiché da molto tempo i nostri cugini spagnoli sembrano aver mostrato indicatori migliori.

La situazione a livello economico e politico in Europa è contrastante. In primo luogo c’è ottimismo e fiducia nel lungo periodo per la manovra di Quantitative Easing della BCE che potrà portare una spinta decisa per l’ economia dei paesi maggiormente in sofferenza. “Stampando moneta”, o meglio acquistando bond sovrani, si immette grande quantità di moneta nel sistema bancario e (si spera) confluirà nell’ 15economia reale del paese. In  secondo luogo però, c’è una forte tensione europea lievemente più pronunciata a livello politico che economico, la Grecia. Il tema della Grecia è nuovamente sotto i riflettori poiché le relazioni tra il governo Tsipras e le principali istituzioni creditrici Ue, Bce, e Fondo monetario internazionale proseguono a rilento.

Di grande importanza sono le performance dei mercati azionari, con i riflettori accesi sulle piazze europee. Piazza Affari, su tutte, ha registrato +20% da inizio 2015, contrariamente alla parità mostrata dall’indice americano S&P500. Un chiaro outlook è riportato da Scott Meech, Co-Head of European Equities di Union Bancaire Privée, riassunto da il sole 24Ore: “A nostro avviso, il movimento al rialzo del mercato è giustificato. Potenzialmente, abbiamo un triplo stimolo derivante dalla debolezza dell'euro, dai bassi prezzi del greggio e dal «qe» della Bce. Le stime sulla crescita sono lievemente migliorate, mentre la fiducia dei consumatori ha mostrato un deciso rialzo. Ci sono molte incertezze a livello globale, non ultimo il dibattito sul ciclo dei tassi di interesse degli Stati Uniti, che potrebbe diventare in qualsiasi momento un ostacolo. Tuttavia non vediamo le attuali basi di valutazione dei mercati eccessivamente impegnative, soprattutto dato il ritorno di una certa crescita degli utili quest'anno”.

Nel corso del 2015 sui mercati sembra dunque guidare l’effetto positivo economico e della BCE, ma è anche importante riflettere sulla possibilità che le performance registrate in Europa siano frutto di una decisa inversione di investimenti dal mondo oltreoceano al vecchio continente, più che dagli effetti naturali generati dai dati strutturali.

venerdì 13 marzo 2015

L'importanza della moneta: lo Zimbabwe introduce i Bond Coins

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Sono passati sei anni dalla decisione dello Zimbabwe di abbandonare il dollaro zimbabwiano a causa della iperinflazione, che negli anni precedenti aveva messo in ginocchio l'economia nazionale.

Il sempre più crescente utilizzo di moneta straniera (per lo più dollari americani) per le transazioni interne aveva convinto la banca centrale del paese ad interrompere la stampa della moneta nazionale, permettendo ufficialmente l'utilizzo di monete straniere come dollaro americano e rand sudafricano.

Nonostante la scelta di abbandonare la valuta nazionale, divenuta ormai senza valore, per le monete di Stati Uniti e Sud Afirica che con la loro stabilità hanno permesso un maggiore controllo di inflazione e deficit di bilancio, l'economia zimbabwiana si trova di nuovo in difficoltà.

La mancanza di una valuta locale all'interno del paese, che si tiene in piedi perlopiù grazie alle rimesse degli emigranti, comincia a farsi sentire.

Al fine di avere un po' di controllo dei prezzi e dei movimenti del mercato interno (che fino ad oggi sono stati strettamente legati ai movimenti delle monete utilizzate) il governo ha deciso di introdurre i Bond Coins dal Dicembre 2014.

I Bond Coins Zimbabwiani, stampati dalla Reserve Bank of Zimbabwe, si presentano in tagli da 1, 5, 10, 25 cent e sono ancorati ai rispettivi valori in dollari statunitensi. Proprio per questo mese è prevista l'introduzione dei coins da 50 cent.

Questa mossa della banca centrale del paese è stata vista con molto scetticismo dalla popolazione dello Zimbabwe, e accresce il timore tra i locali che questo sia un passo verso la reintroduzione del tanto odiato dollaro zimbabwiano.

Mugabe ha garantito che l'introduzione dei Bond Coins non ha nessun legame con una futura reintroduzione della moneta abbandonata nel 2009.

Tuttavia, considerando il peso delle rimesse dall'estero nel bilancio del paese ed il valore del dollaro sempre più alto, l'idea di reintrodurre una valuta locale potrebbe essere una mossa non così malvagia.

mercoledì 11 marzo 2015

QE: già 3,2 miliardi di titoli acquistati dalla BCE

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È partito questa settimana il Quantitative Easing, il programma per rilanciare la crescita dell’Europa fortemente voluto da Mario Draghi e dalla BCE. L’operazione prevede un ritmo sostenuto: l’iniezione di liquidità nel sistema a fronte dell’acquisto di titoli, per la maggior parte di Stato, viaggerà al ritmo di circa 60 miliardi di euro al mese per raggiungere l’obiettivo di 1140 miliardi di euro entro settembre 2016.

Il piano tenterà di riportare l’inflazione al 2% e di riattivare l’economia dell’eurozona, rilanciando il mercato del credito a famiglie e imprese e dando uno stimolo ai consumi.

Il calo dei rendimenti dei titoli di stato e la svalutazione dell’euro dovrebbero avere effetti positivi sugli attori dell’economia reale: ci si aspetta infatti che le famiglie abbiano maggiori possibilità di accesso a prestiti e mutui e possano incrementare i consumi; che le imprese possano finanziarsi a costo inferiore e beneficiare di un vantaggio a livello di export; e che i governi vedano diminuire gli interessi sul debito e abbiano quindi maggiori risorse da spendere nella crescita.

Al momento sono già partiti 3,2 miliardi di acquisti, prevalentemente su titoli di Stato di Germania, Francia e Italia. Per quelli greci si aspetta invece il raggiungimento di un accordo tra il governo greco guidato da Tsipras e i suoi creditori.

Oltre ai titoli di debito pubblico, nel piano di QE rientreranno Abs, obbligazioni garantite, titoli di istituzioni europee e bond sovrani con tassi negativi (non inferiori al tasso Bce sui depositi che al momento è pari a -0,20%).

Secondo le stime di Cgia di Mestre, l'Italia dovrebbe ricevere fino a 150 miliardi di euro dal QE. Rimarrà fuori dal perimetro degli acquisti la Cassa Depositi e Prestiti, decisione abbastanza sorprendente visto anche il contributo della CDP al Fondo Europeo per gli investimenti strategici lanciato da Juncker. Secondo quanto diramato dal Ministero dell’Economia e delle Finanze in un comunicato di ieri infatti la CDP contribuirà “investendo 8 miliardi di euro su diverse iniziative, articolate nei settori previsti dal Piano stesso ed in particolare per favorire il credito alle PMI, la Digital economy, il sistema delle infrastrutture di trasporto e dell’energia”.

Ma come hanno reagito i mercati all’inizio del Quantitative Easing? Le borse europee e mondiali non hanno registrato particolari scossoni, ma hanno comunque chiuso al ribasso: segno negativo è stato infatti registrato su quasi tutti gli indici e l’euro ha raggiunto i minimi storici da 12 anni a questa parte. Si dovranno comunque aspettare i risultati dei prossimi mesi per iniziare a fare le prime valutazioni sull’efficacia del piano di Draghi.

domenica 8 marzo 2015

Grecia: fate il vostro gioco

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Sarebbe un referendum la contromossa del governo Greco qualora la Troika alzasse la pressione sulla Grecia nell'esaminare, durante l'Eurogruppo di lunedì, il pacchetto di riforme predisposto dagli ellenici. E' stato Il ministro della Difesa greco, Panos Kammenos, a minacciare questa possibilità durante un'intervista al giornale Agora, senza però specificare chiaramente quali sarebbero i contenuti della consultazione.

Kammenos, leader del partito euroscettico di destra, ha poi aggiunto che sono i tedeschi a doversi convincere che "la democrazia esiste" e che "il feudalesimo è finito", alimentando  ulteriormente il clima di tensione e rincarando la dose delle precedenti affermazioni sulla cancellazione di parte del debito greco "piaccia o no ai creditori" e sull'Europa governata da "tedeschi neo-nazisti", che devono ancora "pagare le riparazioni di guerra alla Grecia".

Non è difficile quindi immaginare quale possa essere l'argomento del referendum: la permanenza nell'euro.

Intanto, Varoufakis, comunicando di aver ricevuto una risposta dai "contenuti positivi" alla sua lettera inviata all'Eurogruppo, ha fatto sapere che "il problema non sono le riforme ma come saranno giudicate e valutate". E' quindi lecito dubitare che il via libera di Bruxelles sull'ultima tranche da 7,2 miliardi del secondo piano di bailout, indispensabile per le casse di Atene entro marzo, sia scontato.

Dipende tutto quindi da quanto Tsipras intenda realmente avviare le riforme strutturali previste per la fine di aprile per garantire la restituzione del debito senza ricorrere ad un nuovo, pesantissimo, haircut.

Intanto, l'economista americano James Galbraith, che ha scritto con il ministro greco Varoufakis la "Modest Proposal", una strategia alternativa di uscita dalla crisi per la Grecia parla di "atteggiamento prevenuto" da parte della Bce e della Commissione Ue nel gestire l'emergenza della Grecia, auspicando che il piano "venga discusso seriamente e senza prevenzioni".

Non resta allora che aspettare la reazione europea alle 11 pagine di riforme presentate dal governo di Tsipras e a qual punto tutti dovranno giocare a carte scoperte.

venerdì 6 marzo 2015

La svalutazione dell'euro e la potenziale guerra valutaria

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Il recente deprezzamento dell'euro ha innescato una catena di provvedimenti nell'economia monetaria di molti paesi del mondo (si vedano gli articoli precedenti dedicati a Svizzera e Danimarca). E' indubbio che i movimenti della moneta comunitaria, data la propria importanza nell'economia mondile, produca effetti importanti globali.

Si pensi che a seguito dell'espansione monetaria condotta dalla BCE guidata da Mario Draghi, per non far diventare troppo costose le proprie monete, hanno aumentato l'offerta di moneta anche Norvegia, Vietnam, India, Canada,Turchia,Singapore ed Australia.

Al momento gli Stati Uniti hanno deciso di non modificare seguire le scelte della BCE, consentendo un apprezzamento della propria moneta nei confronti dell'euro

Sebbene il governatore della BCE abbia sempre dichiarato che la politica espansiva promossa dall'istituizione europea abbia come obiettivo spingere le banche a prestare più soldi alle imprese per stimolare gli investimenti, è pur sempre vero che una moneta più debole favorisce le esportazioni.

Quindi nei mercati esteri i prodotti europei, risultando meno cari, sarebbero recepiti molto più dalla domanda interna rischiando di mettere in difficoltà la produzione nazionale del paese coinvolto.

Ma c'è un'altro aspetto che deve necessariamente essere considerato.

Negli ultimi anni grandi operatori finanziari, soprattutto hedge found e fondi pensione americani, hanno investito notevoli quantità di capitali nei paesi emergenti ed in via di sviluppo del Sud America, Asia ed Africa.

L'apprezzamento del dollaro nei confronti delle valute locali rende i debiti sempre più cari e quindi aumenta il rischio di insolvenza determinando un potenziale effetto default a catena.

Resta da vedere fino a che punto gli Stati Uniti accetteranno questa situazione senza operare anch'essi con politiche monetarie espansive.

Non resta quindi per i paesi aderenti all'unione monetaria che godersi il momento,sperando che le proprie economie, grazie ai benefici legati alla moneta debole, cambino marcia ed accellerino il processo di ripresa, prima che il colosso americano decida di non assecondare più la scelta di Draghi.

giovedì 5 marzo 2015

Petrolio: il ritorno dei prezzi alti?

Sempre più frequentemente si sente parlare di inversione di tendenza nell’ andamento dei prezzi del petrolio, e questa settimana si è aggiunto un ulteriore tassello che consolida questa visione. L’Arabia Saudita ha annunciato che modificherà al rialzo il prezzo di vendita del greggio.

Ma facciamo un passo indietro. Le quotazioni del petrolio sono in brusco calo da luglio 2014, e a novembre si è accesa un chiaro braccio di ferro sui prezzi, da un lato l’Opec e dall’altro i restanti paesi produttori. L’Opec ha voluto mostrare i muscoli decidendo di non rivedere le quantità di produzione, fattore considerato determinante nel crollo dei prezzi, osservando inoltre i livelli di domanda mondiale decisamente inferiori e lontani dai quelli ottimali. Il segnale era chiaro, si era disposti a vedere il ridursi dei propri margini a fronte di mantenere i volumi di vendita. Tale manovra è stata interpretata dai più esperti anche come strategica in risposta all’avvento dello Shale Oil americano.

Da inizio 2015 però gli andamenti dei future del petrolio sui mercati hanno mostrato una ripresa, passando da un minimo di 48$ al barile ai livelli attuali intorno ai 60$ al barile con riferimento al Brent. I principali fattori che possono aver inciso sono stati i drastici tagli della produzione delle maggiori compagnie produttrici, stimato in circa 20%. Questo segnale potrebbe dunque segnare un’inversione del ciclo economico del petrolio, iniziando la discesa dei livelli di produzione e favorendo l’economia e di conseguenza un recupero della domanda.

E’ di questa settimana il commento del ministro del petrolio saudita Ali Al Naimi:  "Il mercato è calmo, la domanda sta crescendo”.

Come riportato da il Sole 24Ore, “anche il rincaro dei listini di Saudi Aramco risponde probabilmente alla percezione di un miglioramento della domanda. Gli Osp (Official Selling Prices) - che di recente sono entrati nel radar degli investitori, trasformandosi spesso in “market mover” - almeno in teoria non dovrebbero indirizzare il mercato, ma rispondere ai suoi cambiamenti”. In effetti non possiamo che sottolineare il ruolo dei mercati che stanno amplificando i movimenti strutturali del petrolio. Negli ultimi mesi molte case di investimento hanno incrementato le scommesse sul rialzo dei prezzi del greggio nel medio periodo.

La situazione attuale dei prezzi relativamente bassi è un grande aiuto per l’economia, in particolare quella europea che stenta a proiettarsi verso la crescita. Sarà dunque necessario osservare nei prossimi mesi quanto il ruolo macro economico e strutturale dietro il petrolio possa giocare il ruolo da padrone nel delineare i trend di prezzo, e di contro quanto sia impattante il ruolo dei mercati finanziari nel muovere i prezzi sulla base di previsioni di lungo termine e di scommesse particolarmente accattivanti.

mercoledì 4 marzo 2015

Svizzera, Liechtenstein, Monaco: è tempo di voluntary disclosure



Dopo gli accordi della scorsa settimana con Svizzera e Liechtenstein, anche Monaco capitola all’offensiva italiana contro il segreto bancario e i paradisi fiscali. È stato infatti firmato anche con il Principato un accordo basato sul modello OCSE di Tax Information Exchange Agreement che consente, dopo la ratifica dei rispettivi Parlamenti, lo scambio di informazioni su richiesta in merito a capitali detenuti irregolarmente all’estero.

Con la firma, gli ormai ex-paradisi fiscali d’Europa come Svizzera, Liechtenstein e Monaco escono dalla black list ai fini della voluntary disclosure, cosa che permetterà agli italiani che detengono patrimoni oltre confine illegalmente di accedere alla procedura di regolarizzazione, beneficiando delle condizioni più favorevoli previste dalla legge.

Diversamente dalle modalità di rientro dei capitali applicate negli anni passati, la voluntary disclosure prevede un approccio analitico basato sul pagamento delle intere somme dovute, anche se con sanzioni ridotte, distanziandosi dalla natura premiale tipo “condono” prevista dal precedente scudo fiscale.

Scegliendo di fare voluntary disclosure, il contribuente italiano ha tempo infatti fino a fine settembre 2015 per denunciare all’Agenzia delle Entrate, in modo analitico, i patrimoni e le attività finanziarie detenute illegalmente all’estero insieme a tutte le informazioni necessarie legate ai periodi in cui non sono state corrisposte le relative imposte. Il contribuente dovrà poi pagare tutte le imposte (in massimo tre rate) sottratte finora al Fisco e le sanzioni in misura ridotta.

Per i cosiddetti conti pocket, ossia quelli inferiori ai 2 milioni di euro annui, verrà invece applicato un criterio forfettario calcolando un rendimento finanziario del 5% sul valore complessivo del patrimonio a cui sarà poi applicata una tassazione con aliquota del 27%.

In aggiunta al versamento delle imposte dovute, dovranno poi essere versate le relative sanzioni (per omessa dichiarazione e per violazione degli obblighi di monitoraggio fiscale) e gli interessi maturati.

Per le attività in Paesi black list bisognerà versare il 5% dal 2004 al 2007 e il 6% dal 2008 al 2013; per i paesi che hanno firmato l'accordo (Svizzera, Liechtenstein e Monaco) le sanzioni si riducono al 3% per tutti gli anni; infine per i paesi in white list le sanzioni si applicano solo a partire dal 2009.

Il 2015 sarà quindi l’anno del rientro dei capitali in Italia? Il Governo ovviamente spera di sì, pregustando il consistente gettito fiscale che ne deriverebbe, ma rimangono tuttavia ancora degli aspetti da chiarire. In primis ci sono dubbi sull’effettiva applicabilità delle norme, cosa per cui si aspetta la diffusione di una circolare operativa da parte dell’Agenzia delle Entrate

A questo si aggiungono poi incertezze in merito alla punibilità e all’autoriciclaggio, aspetti che stanno generando preoccupazione da parte dei professionisti del settore e che stanno per ora frenando l’avvio della procedura di rientro da parte dei cittadini interessati.

lunedì 2 marzo 2015

Italia: eppur si muove. Lo dice l'Istat.

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14, tanti sono stati i trimestri consecutivi nei quali il PIl dell'Italia ha dimenticato il segno più nelle rilevazioni dell'istituto nazionale di statistica. Oggi, la variazione attesa per il primo trimestre 2015 è del +0,1%. Recita così, infatti, la nota diffusa dall'Istat nella giornata di venerdì:




"I segnali positivi sull’economia italiana si rafforzano. Al miglioramento del- le opinioni di consumatori e imprese registrate a febbraio si affianca l’aumento della produzione industriale a dicembre e quello del fatturato dei servizi nel quarto trimestre del 2014. Permangono tuttavia difficoltà nel mercato del lavoro e si conferma la fase deflazionistica, seppure in atte- nuazione. L’indicatore composito anticipatore dell’economia registra una variazione positiva per il secondo mese consecutivo. Per il primo trimestre 2015 è previsto il ritorno alla crescita del Pil."




Segnali positivi dunque, ma restano le difficoltà, soprattuto nel mercato del lavoro d'Italia che, citiamo testualmente, «non mostra chiari segnali di un’inversione di tendenza rispetto a quanto osservato negli scorsi mesi». Il tasso dei posti vacanti ristagna allo 0,5% nell'industria e nei servizi, mentre è visto in crescita nella manifattura e in peggioramento nelle costruzioni.

Calano ancora i prezzi, dopo il -0,6% su base annua registrato a Gennaio, le stime per febbraio parlano ancora di deflazione, vista a -0,2%, complici i forti ribassi di prezzo subiti dal petrolio.

Fiducia dei consumatori iln lieve crescita, con un +0,1% nel terzo trimestre 2014 accompagnata da un deciso miglioramento del clima relativamente alla situazione economica.

Eppur si muove, quindi, l'Italia. Di poco, quasi di niente in termini reali ma di qualcosa in termini tendenziali. Il fardello del mercato interno però continua a pesare, con un fatturato industriale sul mercato nazionale calato in media nel 2014 dell'1,2%, in parte bilanciato da un'accellerazione sulla componente di domanda estera (+2,9%), ma inferiore alla domanda potenziale delle produzioni italiane.

Per l'Italia, quest'ultimo sarà il dato cruciale per interpretare la ripresa e capire se si tratta di fumo o di arrosto. Se i miglioramenti nella fiducia dei consumatori e delle imprese saranno effettivi, la domanda interna dovrà necessariamente ripartire e con essa tutto il sistema economico italiano potrà finalmente cominciare a sperare. Altrimenti, i più torneranno dei meno e sarà tutto da rifare. Ancora una volta.

domenica 1 marzo 2015

Euro: Habemus accordum!

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Dopo settimane di incertezza sull'euro, l’Eurogruppo ha finalmente trovato un accordo in merito alla questione Grecia. È di pochi giorni fa infatti la notizia dell’estensione dell’attuale programma di aiuti per altri quattro mesi – e non i 6 richiesti dal ministro Varoufakis - (7,2 miliardi di euro in arrivo ad Atene) in cambio del completamento con successo della valutazione delle misure richieste dal Memorandum prima del nuovo esborso di aiuti, della stesura di una serie di riforme che dovranno essere presentate lunedì e del rispetto degli impegni presi.

Entro fine aprile, il set di riforme concordate dovrà ricevere il via libera definitivo e solo la conclusione positiva del programma darà il via libera al versamento dei fondi previsti nel programma di sostegno finanziario (erogazione della tranche in sospeso del programma EFSF corrente e trasferimento degli aiuti SM SMP). Secondo quanto si legge nel rapporto dell’Eurogruppo, la Grecia si è impegnata in un “processo di riforma strutturale volto a un duraturo miglioramento delle prospettive di crescita e di occupazione, a garantire la stabilità e la resistenza del settore finanziario e a migliorare la giustizia sociale”, combattendo la corruzione e l’evasione fiscale, migliorando l’efficienza del settore pubblico e assicurando un “appropriato” surplus primario di bilancio.

Il raggiungimento dell’accordo che fino a pochi giorni fa sembrava quanto mai lontano è stato salutato con sollievo: in sua assenza, la Grecia avrebbe avuto solo poche settimane prima di trovarsi a corto di liquidità e dover dichiarare default con conseguente abbandono dell’euro.

Come ha commentato il commissario UE agli affari economici Pierre Moscovici l’accordo “va nell'interesse non solo della Grecia ma dell'euro e di tutta l'Ue”, in quanto è “un accordo equilibrato, che permette alle autorità greche di mettere in opera i cambiamenti che desiderano e allo stesso tempo di rispettare gli impegni”.

L’accordo allontana momentanemente i fantasmi della Grexit, l’uscita della Grecia dall’Eurozona, e allenta la pressione sull'euro e sui mercati generando effetti positivi sulle borse europee e spingendo Wall Street a nuovi massimi con l’indice Dow Jones che ha guadagnato lo 0,86% chiudendo a 18.140,44, primo record del 2015 dopo il picco toccato a Dicembre. Segnali positivi anche dallo S&P 500 che è salito dello 0,61% a 2.110,3 mentre il tecnologico Nasdaq è aumentato dello 0,63% assestandosi a 4.955,97 punti.

Ma è una vittoria o un vittoria di Pirro? Difficile dirlo per ora, chi parteggia per Tsipras può fregiarsi dell’impegno al raggiungimento di un nuovo accordo, chi sostiene la linea dura tedesca può sventolare quello che in sostanza è un rispetto degli impegni presi in precedenza da Samaras. Intanto però arrivano euro freschi, e quello è sempre un plus.