sabato 29 novembre 2014

Cina ed Australia si accordano per il libero scambio

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Prosegue a gonfie vele il processo di integrazione economica cinese all'interno del Pacifico, Xi Jinping e Tony Abbott, rispettivi leader di governo di Cina ed Australia hanno firmato un accordo di libero scambio tra i due paesi nonostante l'esclusione della cinese Huawei dal progetto australiano di espansione della rete a banda larga sul territorio nazionale.

Questo accordo di libero scambio, della durata di quattro anni, permetterà un ingresso agevolato alle imprese cinesi ed ai loro capitali di investimento nel mercato australiano e, rispettivamente, garantirà alle esportazioni australiane destinate in Cina la rimozione e riduzione delle tariffe doganali.

A trarne maggiore beneficio saranno i prodotti agricoli australiani come riso, latte, formaggio, yogurt, lana e cotone che potranno essere venduti in Cina senza dove essere soggetti ad alcun tipo di tariffa (precedentemente all'accordo la tariffa era del 9%).

Dall'altra parte L'Australia ha alzato il limite massimo del valore degli investimenti cinesi senza necessità di autorizzazione dell'autorità nazionale da 248 a 515 milioni di dollari australiani.

Nonostante la terra dei canguri sia sempre stata considerata sotto l'influenza statunitense va ricordato che tra i due paesi vi è in essere da tempo una solida ed importante relationship commerciale. Infatti Pechino è il più importante partner commerciale di Canberra e la nazione cinese assorbe la maggior parte delle esportazioni australiane.

Si pensi che nel 2012 il giro d'affari dei due paesi si è aggirato intorno ad i 122 miliardi di dollari australiani, un valore pari a 84 miliardi di euro (fonte:ilSole24Ore). Inoltre la maggior parte dei cittadini e studenti stranieri presente nel subcontinente australiano sono provenienti dalla Repubblica Popolare Cinese.

E' ormai più che evidente che la Cina sta puntando a consolidare i propri rapporti non solo commerciali, ma anche politici nell'area sud del Pacifico (si pensi all'articolo precedente riguardante la creazione dell'AIIB) mostrando al mondo occidentale quanto ormai questa sia un player principale nelle dinamiche dell'economia mondiale.

giovedì 27 novembre 2014

Google: l'Europa si divide



Ore difficili per Google, il gigante del web incassa infatti una sconfitta politica che potrebbe minare in maniera netta le fondamenta del modello di business del colosso di Mountain View. Il Parlamento europeo vorrebbe obbligare Google a separare i servizi di ricerca dagli altri servizi commerciali erogati dalla società americana, ma la commissione Ue non sembra pensarla allo stesso modo. Scrive La Stampa:

"Il Parlamento europeo ha votato oggi a netta maggioranza una risoluzione non vincolante in cui si chiede la separazione dei servizi di ricerca online dagli altri servizi commerciali, una mossa diretta contro Google. Se sarà effettivamente applicata, infatti, metterebbe a repentaglio il modello economico del gigante del web che attraverso la ricerca gratuita ottiene informazioni cruciali sui suoi utenti, che poi utilizza per i servizi di pubblicità e marketing online da cui deriva la gran parte dei suoi profitti."

Se applicata, questa scelta provocherebbe una netta frattura tra la comunità europea e Big G che potrebbe arrivare addirittura a compromettere la disponibilità dei servizi erogati da Google nel continente europeo. L'iniziativa non sembra però destinata a raccogliere consensi in commissione Ue, alla quale spetta ogni decisione in merito al procedimento:

"Il commissario all’economia digitale Guenther Oettinger si è dichiarato contrario alla separazione: «Non credo sia la soluzione migliore», ha dichiarato commentando la risoluzione. Il commissario tedesco ha detto che «la risoluzione del Parlamento è un parere importante, ma più che di separazione di attività parlerei di applicazione coerente del diritto sulla concorrenza». Anche il portavoce del commissario Ue all’Antitrust Margrethe Vestager ha frenato sugli effetti della risoluzione: «È importante notare che l’applicazione della legge dell’antitrust Ue deve restare indipendente dalla politica. Inoltre è obbligo della Commissione rispettare i diritti di tutte le parti e restare neutrale e giusta: questi sono valori cruciali della legge sulla Concorrenza»."

L'Europa quindi si divide e se da una parte condanna politicamente la posizione di Google dall'altra ne tutela gli interessi, evitando lo scontro allontanando il procedimento dalla commissione e mitigandone la portata, anche grazie all'intervento di Joaquin Almunia.

"Il caso ora passa nelle mani di Margrethe Vestager, dopo che il suo predecessore, Joaquin Almunia, ha scelto in questi anni la strada di una serie di compromessi con Google."

Resta da vedere se la linea del compromesso terrà.

martedì 25 novembre 2014

Abenomics: storia di un fallimento?

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La politica economica sostenuta dal primo ministro giapponese Shinzo Abe non ha prodotto gli effetti sperati, infatti il Giappone torna ufficialmente in recessione registrando il un tasso di crescita del Prodotto Interno lordo in flessione di 1,6 punti percentuali rispetto lo stesso periodo dell'anno passato.

Puntuale la risposta dei mercati che hanno fatto registrare un -3% all'indice Nikkei.

In risposta a questo risultato deludente ed inaspettato (anche per gli analisti), Abe ha bloccato il previsto aumento dell'IVA al 10% e sciolto il parlamento indicendo nuove elezioni per il 14 Dicembre. I giapponesi in questo modo potranno dare il loro giudizio sulla ormai celeberrima Abenomics, ovvero il programma economico applicato dal governo della nazione nipponica in risposta alla crisi economica cronica del paese.

Ma che cos'è o cosa è stata la Abenomics?

Praticamente Abe ha promosso una sostenuta politica monetaria espansiva immettendo sul mercato una considerevole quantità di valuta fresca, mantenendo i tassi negativi, al fine di sostenere l'export (aiutato dal basso valore dello Yen), spingere i consumi e uscire dalla spirale deflattiva che caratterizza il Giappone da quasi vent'anni.

Osannata e criticata allo stesso tempo, le scelte di Abe hanno in un primo momento premiato il suo coraggio, infatti nei primi mesi dell'Abenomics il paese del Sol Levante ha registrato tassi di crescita positivi sia per il Prodotto Interno Lordo che per il valore della borsa nazionale.

Lo stesso si è verificato con i consumi che sono mano a mano aumentati ed il tasso di inflazione ha raggiunto il tanto agognato valore del 2% senza sottovalutare l'aumento del valore delle esportazioni.

Ma ad un certo punto qualcosa non ha funzionato. Il valore nominale dei salari non è stato in grado di seguire la stessa velocità del tasso di inflazione (molto probabilmente grazie anche all'aumento della pressione fiscale), ridimensionando la crescita dei consumi (+0,4% rispetto al trimestre precedente). Inoltre i dati del terzo trimestre hanno mostrato un valore negativo in riferimento agli investimenti delle imprese (-0,2% rispetto il secondo trimestre).

Personalmente credo che sia necessario dare tempo all'Abenomics di produrre i suoi effetti, due anni per un cambio così sostanziale dell'economia giapponese sono pochi per poter fare valutazioni definitive, ma come è giusto che sia, saranno i cittadini giapponesi, con il loro voto, a decidere se il lavoro di Shinzo Abe merita fiducia.

domenica 23 novembre 2014

OCSE: luci e ombre nello scenario economico

L’ultimo aggiornamento della situazione economica nel perimetro OCSE mostra alcune evidenze a macchia di leopardo. Nei paesi dell’area, il PIL globale si è spinto verso un +0,3% nel primo trimestre e +0,4% nel secondo semestre. Entrando però nel dettaglio dei singoli paesi che generano il dato aggregato, scopriamo come ci sia una “nicchia” di economie che guidano le performance. Come riportato da Il Messaggero solamente Stati Uniti e Gran Bretagna mostrano significativi segnali di crescita, mentre economie di Francia e Germania hanno pur sempre indicatori positivi ma comunque con una rilevanza marginale. Completando lo sguardo sui maggiori paesi dell’ OCSE, Italia e Giappone risultano in chiara recessione.

Andando con un maggiore zoom tra i recenti numeri offerti da Istat sulla situazione Italiana, possiamo comprendere come la crisi economica non da segnali di rallentamento. Dal corriere.it emerge che “il fatturato dell’industria, al netto della stagionalità, registra una diminuzione dello 0,4% rispetto ad agosto. Il solo mese di settembre ha invece mostrato una frenata soprattutto dall’estero, -1,4%, mentre c’è stato un incremento minimale, +0,1%, sul mercato interno. A livello tendenziale il fatturato totale scende del 2,2%, con un calo del 3,7% sul mercato interno ed un incremento dello 0,8% su quello estero”.

L’outlook tendenzialmente negativo è confermato anche nell’area europea, marcato dal rallentamento della Germania ma tamponato dai tratti lievemente positivi della Francia. Il corriere.it riporta come “l’indice pmi flash complessivo dell’Eurozona rallenta a novembre a 51,4 punti dai 52,1 punti di ottobre e contro gli attesi 52,3 punti. L’indice pmi, calcolato da Markit, è un barometro dell’andamento economico dell’area euro, che segna un’espansione sopra i 50 punti e una contrazione sotto quota 50. L’indice pmi flash manifatturiero dell’Eurozona passa da 50,4 a 50,2 punti e quello sui servizi frena da 52,3 a 51,3 punti. Indicativo l’arretramento dell’indice complessivo dei nuovi ordini, che cede da 50,8 a 49,9 punti, registrando la prima contrazione dal luglio 2013”.

Alcuni lievi segnali positivi, che andrebbero comunicati sottovoce per la delicatezza del tema, arrivano dal mercato immobiliare. Nel settore italiano nel terzo trimestre l’indicatore è balzato a +3,6%  rispetto allo stesso periodo nel 2013. Secondo i dati dell’Agenzia delle Entrate le transazioni immobiliari in crescita devono gran parte del risultato alle evidenze emerse nelle grandi città che trainano il tasso di scambi. Tale inversione ciclica deve però ricevere il supporto del settore bancario e della relativa fiducia ad erogare mutui. Se lo scenario futuro si dovesse manifestare senza questa chiave di svolta, i recenti dati emersi lievemente positivi svanirebbero con estrema rapidità. Restiamo quindi in attesa di ulteriori sviluppi della macchina dell’edilizia nazionale e osserviamo l’evoluzione degli indicatori economici della sofferente area euro.

venerdì 21 novembre 2014

Amazon: prossima fermata, viaggi


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Quello del turismo on-line è un mercato molto ricco, da anni infatti sono sempre più le persone che scelgono di affidarsi alla rete per pianificare e prenotare le proprie vacanze senza passare per le tradizionali agenzie di viaggio.


Oggi a farla da padrone sono siti come Booking.com o Expedia, ma domani, le regole del gioco potrebbero cambiare. Secondo alcune indiscrezioni infatti, il primo gennaio 2015 debutterà un nuovo player nel mercato e non uno qualsiasi: Amazon.




"Amazon Travel potrebbe debuttare già dal 1 Gennaio 2015 con la possibilità di prenotare hotel a New York, Los Angeles e nella città natale di Amazon, ossia Seattle. Al momento solo indiscrezioni.

Secondo la fonte, Amazon ha lavorato con hotel indipendenti e resort in ed intorno le grandi città per preparare il suo nuovo servizio di viaggi che potrebbe essere chiamato semplicemente Amazon Travel."

Secondo Skift, la fonte di questa indiscrezione, Amazon starebbe selezionando gli alberghi sulla base delle valutazioni ricevute su TripAdvisor e chiederebbe alle strutture una commissione pari al 15% delle prenotazioni.

Continua sempre l'articolo di pianetacellulare.it:

"Amazon Travel partirebbe dunque come altri servizi lanciati in precedenza dalla società: partire in piccolo, vedere la risposta degli utenti ed espandersi più tardi. Anche se è ancora solo una voce, è molto credibile. Nel frattempo, Amazon non commenta confermando o smentendo le voci. Skift dice, tuttavia, di essere giunto a conoscenza di questo nuovo servizio in arrivo dal colosso dell'e-commerce dopo che due alberghi indipendenti hanno svelato di essersi iscritti."

Travel si aggiungerebbe agli altri progetti innovativi recentemente lanciati da Amazon, come i droni, i telefoni 3d e la musica in streaming. La società di Bezos conferma così ancora una volta la volontà di espandere a 360 gradi i settori di attività, puntando a diventare lo one-stop-shop del consumatore digitale.

Il colosso di Seattle si fa ancora più grande? Non ci resta che aspettare il primo gennaio per scoprirlo.


 

giovedì 20 novembre 2014

Oltre la burocrazia europea guardando al futuro

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Lo scorso lunedì 17 novembre mi sono collegato per assistere in streaming all’audizione che Mario Draghi ha tenuto alla Commissione Affari Economici e Monetari del Parlamento europeo. Draghi era presente sia in qualità di presidente dalla BCE sia in qualità di chairman dell’ European Systemic Risk Board. Entrambi gli organi, infatti, hanno obblighi di reportistica nei confronti del parlamento europeo (vedi sito BCE e ESRB). Sono, per dirla all’inglese, accountable nei confronti del parlamento europeo, come anche ricordato dallo stesso Draghi nella conferenza stampa successiva alla riunione di politica monetaria dello scorso 6 novembre. In particolare, Draghi era stato chiamato, nell’ambito dei “Monetary dialogue”, in qualità di presidente della BCE, a discutere di politiche monetarie non convenzionali, anche in relazione alla frammentazione dei mercati finanziari nell’area dell’euro, e dell’evoluzione del collateral framework dell’Eurosistema.

Ma non riporterò né commenterò nulla di quello detto dal presidente Draghi perché la mia attenzione è stata catturata da un fatto che mi ha lasciato senza parole e che mi ha fatto riflettere un po’ sulla nostra Unione europea.

Mi sono collegato, e ho ascoltato Draghi leggere il suo intervento. Dopo, è arrivato il momento delle domande dei parlamentari europei. E a questo punto lo stupore ha preso il sopravvento: ogni singolo parlamentare ha rivolto a Draghi una o più domande nella propria lingua madre! E’ vero, lo ammetto era la prima volta che assistevo in streaming a un’audizione al parlamento europeo. E forse avrei dovuto aspettarmelo. Ma sono rimasto spiacevolmente stupito.

Morale della favola: non sono riuscito a capire le domande dei parlamentari tedeschi, greci, francesi ect…

E secondo me questo è a dir poco scandaloso. Ogni parlamentare europeo dovrebbe conosce l’inglese e preparare i suo interventi in lingua inglese, che, volenti o nolenti, è la lingua internazionale maggiormente utilizzata. In tal modo ogni cittadino europeo con la conoscenza dell’inglese avrebbe capito ogni parte dell’audizione, e non solo le risposte. E pensate a quanti risparmi si otterrebbero in termini di costi per la traduzione in tempo reale etc.

E’ vero, le lingue ufficiali dell’Unione europea sono 28. E questo implica che ogni legge e atto ufficiale delle istituzioni europee debba essere tradotto in 28 lingue: un’assurdità e uno spreco dal mio punto di vista. Non devono essere le istituzioni europee a prevedere la traduzione nelle 28 lingue dell’Unione, ma le istituzioni nazionali dovrebbero, se lo ritengano necessario, provvedere alla traduzione degli atti più importanti. Lo so, questa è un’opinione un po’ estrema e da molti non condivisa (le argomentazioni a sfavore del mio ragionamento risiedono dell’accessibilità a i portatori di interesse, ovvero a tutti i cittadini europei, di atti e documenti ufficiali nella propria lingua madre).

Però, anche lasciando le 28 lingue ufficiali, sarebbe almeno logico che le discussioni in parlamento, in commissione e nelle varie sottocommissioni si tengano in una sola lingua, la più comune e conosciuta nell’Unione: l’inglese. E i rappresentati dei cittadini europei, dovrebbero essere i primi a muoversi verso questa direzione. La conoscenza della lingua inglese dovrebbe essere un requisito minimo per poter essere eletti. L’inglese, dovrebbe ancora più prepotentemente entrare nel sistema educativo di ogni stato membro dell’Unione, affiancando la lingua madre, in modo che tra qualche generazione sia naturale parlare, in contesti internazionali in inglese.

E una questione di logica, semplicità ma soprattutto di innovazione verso un futuro, un nostro futuro, di cittadini europei. L’utilizzo di una sola lingua per comunicare, infatti, realizza e sintetizza più efficacemente il motto dell’unione “United in diversity” : diversity (28 lingue, 28 nazioni, 28 culture) ma una lingua comune per poter comunicare, conosce e sintetizzare tutte le diverse componenti delle 28 nazioni.

lunedì 17 novembre 2014

L'Asia ruggisce: nasce la Asian Infrastructure Investment Bank

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Lo scenario economico e politico si mantiene in forte mutamento.

Mentre il mondo occidentale sigla nuovi accordi commerciali (si vedano TTIP e CETA), su iniziativa cinese, nasce la Asian Infrastructure Investment Bank.

L'accordo, siglato il 24 Ottobre a Pechino, che ha definito la creazione della AIIB  è stato firmato da un totale di 21 paesi appartenenti al continente asiatico e prevede un capitale di partenza di circa 50 miliardi di dollari.

In particolare hanno aderito Cina, Bangladesh, Vietnam, Nepal, India, Brunei, Cambogia, Kazakistan, Kuwait, Malesia, Mongolia, Myanmar, Oman, Pakistan, Filippine, Qatar, Singapore, Thailandia, Sri Lanka, Laos ed Uzbekistan.

L'obiettivo principale dell'Asian Infrastructure Investment Bank è quello di permettere ai paesi membri l'accesso a finanziamenti dedicati alla creazione di strade, torri di comunicazione e ad altre forme di infrastrutture, che spesso risultano assenti nelle zone più povere dell'area asiatica.

Una domanda sorge quindi spontanea: dato che esistono già istituzioni internazionali volte alla erogazione di investimenti per opere strutturali, come ad esempio l'Asian Development Bank e la Banca Mondiale, perchè la Cina ha spinto per la creazione dell'AIIB?

La risposta ufficiale, rilasciata direttamente dal governo cinese, è stata molto schietta: attualmente i budget fissati dalla Banca Mondiale e dalla ADB non permettono di sopperire alla necessità finanziaria infrastrutturale dei paesi asiatici.

La reazione delle istituzioni esistenti è stata comunque positiva, infatti queste si sono già rese disponibili ad eventuali future collaborazioni.

In realtà, prendendo atto della necessità di maggiori fondi per le infrastrutture, dietro la nascita dell'AIIB si nasconde anche una questione politica.

Al momento la Cina, nonostante sia la seconda economia mondiale, non ha lo stesso peso all'interno delle istituzioni tradizionali dei suoi pari occidentali.

Si potrebbe quindi considerare la possibilità che dietro questo accordo internazionale ci sia la volontà di limitare l'influenza occidentale nel sistema economico asiatico aumentando di conseguenza quella cinese.

Durante il vertice APEC (Cooperazione Economica dell'Asia e del Pacifico) Xi Jinping, attuale presidente della Repubblica Popolare Cinese, ha apertamente parlato del "sogno dell'Asia-Pacifico", che prevede accordi di libero scambio di merci e capitali nella suddetta area con al centro la nazione cinese e ciò porterebbe inevitabilmente ad un ridimensionamento dell'influenza statunitense.

Resta da capire se gli Stati Uniti accetteranno questo cambio di ruolo.

sabato 15 novembre 2014

Alla fine Draghi è uscito vincitore

Dalla riunione dello scorso 6 novembre il presidente della BCE ne uscito come indiscusso vincitore. Nonostante le critiche mosse nei sui confronti da vari esponenti anche all’interno dello stesso Consiglio direttivo, che ne avevano profondamente messo in discussione la leadership, Draghi è riuscito a ricostruire intorno a lui il consensus necessario per confermare l’autorevolezza del suo ruolo, e, di conseguenza delle sue parole.

Le critiche alla figura di Mario Draghi erano state particolarmente forti e riguardavano le sue capacità manageriali e il suo stile comunicativo, non ritenuto propriamente  collegiale. “Il caso” era stato portato sotto i riflettori da un articolo di approfondimento di Reuters a firma di EVA TAYLOR e PAUL TAYLOR che comincia così: National central bankers in the euro area plan to challenge European Central Bank chief Mario Draghi on Wednesday over what they see as his secretive management style and erratic communication and will urge him to act more collegially, ECB sources said (http://uk.reuters.com/article/2014/11/04/uk-ecb-governors-idUKKBN0IO1H020141104).

Due sono i passaggi chiave con cui Draghi ha riaffermato la sua leadership all’interno della BCE.

Il primo lo troviamo subito nel secondo paragrafo del comunicato letto durante la conferenza stampa in cui Draghi, dopo aver ricordato i due nuovi programmi di acquisto di covered bond e ABS dice: “together with the series of targeted longer-term refinancing operations to be conducted until June 2016, these asset purchases will have a sizeable impact on our balance sheet, which is expected to move towards the dimensions it had at the beginning of 2012”. Il riferimento esplicito all’incremento delle dimensioni di bilancio sui livelli dell’inizio del 2012 (Draghi poi sarà ancora più preciso, rispondendo a una domanda, riferendosi ai livelli del marzo 2012, subito dopo la seconda asta a tre anni) era stata la questione cardine delle critiche mosse al presidente della BCE. Draghi ha voluto, invece, evidenziare nettamente la relazione tra le misure intraprese negli scorsi mesi e l’impatto che queste avranno sul bilancio dell’Eurosistema, e quindi sulla liquidità nel sistema bancario. E, sebbene sia vero che rispondendo a un giornalista, Draghi abbia affermato che il livello del bilancio dell’Eurosistema a fine marzo 2012 (circa 3000 miliardi) non sia un obbiettivo né un target per la BCE ma solo un’aspettativa sull’impatto derivante dalle misure annunciate (i due programmi di acquisto e le TLTROs), ciò non cambia il messaggio principale: la BCE si aspetta (stima/prevede/desidera) un incremento del suo bilancio dai circa 2000 miliardi attuali a circa 3000 miliardi.

Il secondo passaggio chiave è ancora più sottile e non di facile individuazione. Oltre a riaffermare il proprio impegno unanime nella possibilità di intraprendere ulteriori misure non convenzionali  e aver incarico i vari comitati di studiarne i piani di realizzazione (the Governing Council is unanimous in its commitment to using additional unconventional instruments within its mandate. The Governing Council has tasked ECB staff and the relevant Eurosystem committees with ensuring the timely preparation of further measures to be implemented, if needed.), Draghi ha voluto sottolineare il fatto che l’introductory statement era stato siglato e sottoscritto all’unanimità da tutti i membri del Consiglio Direttivo. Dichiarazione insolita (di solito sono le decisioni che vengono prese che possono essere a maggioranza o all’unanimità) ma con la quale Draghi ha voluto dare completa e totale autorevolezza al riferimento sull’incremento della dimensione del bilancio e confermare con forza il suo ruolo di presidente.

 

giovedì 13 novembre 2014

Scandalo FOREX: $3,4Mld di multa a cinque banche

A seguito di indagini internazionali sull’enorme mercato dei cambi, il FOREX, le autorità di sicurezza hanno individuato cinque istituti bancari come colpevoli di manovre illegali, volte a favorire le posizioni aperte presso i propri trading desk e a discapito in alcuni casi dei propri clienti investitori. L’autorità britannica Financial Conduct Authority (Fca), quella negli Stati Uniti d’America  U.S. Commodity Futures Trading Commission (Cftc) e la controparte svizzera Finma (Autorità federale sui mercati finanziari) hanno dunque emesso multe per un totale di circa $3,4 Mld di euro. Ecco  i nomi illustri coinvolti in questo ennesimo scandalo: Ubs, Citibank, Hsbc, JP Morgan, Rbs.

Nel dettaglio, come riportato da milanofinanza: “Le multe inglesi e americane sono state comminate a Hsbc, Royal Bank of Scotland, Ubs, Citigroup a JP Morgan. Cftc ha agito per 1,4 miliardi di dollari, mentre Fca per 1,1 miliardi di sterline (1,75 miliardi di dollari). Finma ha ordinato a Ubs di pagare 134 milioni di franchi svizzeri (139 milioni di dollari).  Anche Barclays è nel mirino delle autorità di vigilanza di New York e del Dipartimento di giustizia americano”.

Tale manovra non passa di certo inosservata sui mercati di capitali, che hanno visto nella giornata di mercoledì 12 il settore bancario in forte tensione e che ha registrato ingenti perdite su più borse valori. Come riporta investing.com, queste tensioni si sommano allo scenario debole europeo intrecciato alle manovre della BCE che sembrano non generare la fiducia auspicata. Certo, le sanzioni sembrano davvero salate in questa occasione, e la scelta ha lo scopo di dare un segnale forte di credibilità all’intero settore "ma non rassicura gli investitori sull'outlook per il settore bancario. Ci sono crescenti timori in Europa intorno alla pressione sulle banche e all'interrogativo se la trasmissione delle misure della Bce per sostenere l'attività creditizia funzionerà". Questi gli andamenti registrati nella giornata di mercoledì 12 dei titoli interessati:” HSBC e Royal Bank of Scotland perdono rispettivamente lo 0,9% e lo 0,5%, mentre JPMorgan e Citi calano dello 0,9% e dello 0,15%. Barclays lascia sul terreno l'1,6%. Ci si aspettava che la banca britannica rientrasse nell'accordo, ma la Fca ha annunciato che la sua indagine sull'istituto continua. In controtendenza UBS, a +0,4% circa, coi trader che sostengono che la multa sia già stata messa in conto”.

Una notizia del genere crea inevitabilmente parecchio rumore sui mercati e, ancor più importante, indebolisce la credibilità degli istituti che rappresentano l’anello fondamentale per una crescita solida e trasparente.

martedì 11 novembre 2014

Microsoft cancella Nokia e lancia Microsoft Lumia

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La data è l'11 novembre 2014, e certamente passerà alla storia come il giorno in cui Nokia, storico brand della telefonia mobile, viene cancellato dal mercato.

La gomma è quella di Microsoft che ad Aprile ha acquistato l'azienda finlandese per 7,2 miliardi dollari e lancia oggi il primo smartphone marchiato "Microsoft Lumia".

Microsoft Lumia 535, come riporta l'Ansa è presentato come "un '5x5x5', ha cioè display da 5 pollici e due fotocamere da 5 megapixel. Sarà sugli scaffali questo mese, in sei colori e a un prezzo 'democratico': 110 euro tasse escluse. Disponibile in azzurro, verde, arancione, bianco, nero e grigio scuro, anche in versione 'dual sim', lo smartphone dal sistema operativo Windows Phone arriva con a bordo Skype, Office, OneNote e Outlook. Tra le funzionalità c'è anche Cortana, l'assistente vocale di Microsoft, di cui però manca ancora una versione in lingua italiana. A livello hardware il dispositivo ha un processore quad-core da 1.2 GHz, 1 GB di Ram e 8 GB di memoria, espandibile fino a 128 GB, cui si aggiungono 15 Gb di spazio gratis sulla 'nuvola' con OneDrive."

Aggiunge Wired:

"Sistema operativo Windows Phone 8.1, Microsoft Lumia 535 avrà a bordo l’aggiornamento Denim che introduce nuove app fotografiche come Lumia Camera, che permette di scattare immagini a raffica (una ogni 42 millisecondi) e Lumia Selfie, che permette di modificare le foto con filtri e altri strumenti, mentre una serie di segnali acustici ti permettono di usare la fotocamera posteriore per scattare alla cieca, avvisandoti quando hai centrato il faccione nell’inquadratura della fotocamera anteriore (da 5 megapixel con grandangolo). Anche la fotocamera principale è da 5 megapixel, con flash LED."

Per capire la vera portata della notizia serve guardare come in soli 6 anni, dal lancio dell'iPhone che distruggendo il paradigma della telefonia mobile ha aperto la porta all'era degli smartphone, un colosso come Nokia, leader tecnologico e di mercato possa passare dall'essere il punto di riferimento del proprio mercato, con oltre il 50% di market share al quasi zero di oggi.

Statistic: Global market share held by Nokia smartphones from 1st quarter 2007 to 2nd quarter 2013 | Statista

Questa storia ci insegna, ancora una volta, quanto sia difficile e per molti aspetti altamente rischioso, considerare una tecnologia come "di riferimento", dimenticando di guardare ai trend emergenti e sottovalutando l'importanza di mettersi sempre in discussione.

Microsoft Lumia, oggi, è realtà.

domenica 9 novembre 2014

La lotta all'evasione diventa globale: decade il segreto bancario

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Negli ultimi giorni si di ottobre si è concluso a Berlino il summit del Forum Mondiale sulla Trasparenza e lo Scambio delle Informazioni con un accordo senza precedenti.

Grazie all'impegno dell'Organizzazione per la Cooperazione e lo Sviluppo Economico (i negoziati sono stati condotti personalmente dal segretario del Forum Mondiale Fiscale e da Pascal Saint Amans, direttore del Centro di Politica e Amministrazione Fiscale dell'OCSE) i paesi facenti parte del G20 ed i piccoli paradisi fiscali, per un totale di più di novanta paesi, hanno definito nuove regole che prevedono lo scambio automatico dei dati fiscali per rendere più efficace la lotta all'evasione fiscale internazionale.

Verranno quindi condivise informazioni come il possesso di conti bancari esteri, la riscossione di redditi e/o interessi ed acquisto di quote societarie.

L'importanza di questo accordo,che entrerà in vigore dal 2017 è sancita anche dalla presenza di firmatari quali Svizzera, Lussemburgo,Isole Vergini, Isole Cayman e Bermuda. Paesi che storicamente sono sempre stati delle roccaforti del segreto bancario.

Ma cosa cambia di preciso?

L'innovazione principale riguarda la procedura di condivisione che, a differenza di quanto avviene attualmente, sarà automatica e non legata a richieste legate ad indagini ed inchieste di tipo amministrativo o giudiziario nei confronti di persone sospetti di evasione fiscale.

L'accordo firmato in Germania è stato ispirato dal Foreign Account Tax Compliance Act (FACTA) che, diventato legge negli Stati Uniti nel 2010, obbliga le banche straniere ad informare il fisco statunitense della presenza di conti correnti di cittadini americani che superano i cinquantamila dollari.

Non tutti i partecipanti al Forum hanno però firmato l'accordo, infatti non hanno aderito Panama, le Isole Cook, Nauru e Vanuatu che rimarranno quindi nella cosiddetta Black List.

Ora che l'accordo è stato sancito comincia un altro difficile step, cioè farlo funzionare e controllarlo, in modo tale che questo non venga aggirato dagli evasori.

venerdì 7 novembre 2014

Criminalità in Italia: quanto ci costi?

Esistono alcuni aspetti che sono fondamentali per un paese e che impattano in modo trasversali sulla bontà economica e sulle relazioni internazionali. Tra questi spiccano in modo preponderante la criminalità, la poca trasparenza legislativa ed economica e un’elevata burocrazia. Tali aspetti hanno effetti diretti ed indiretti sull’ intero sistema economico nazionale, ma anche limitano investimenti esteri che tendono ad allontanarsi da ambienti poco chiari per non mettere a rischio l’effettivo valore dell’investimento stesso.

Ha parlato su questi temi Ignazio Visco, governatore della Banca d’Italia, mostrando dei numeri che pesano come macigni in un contesto italiano già in forte sofferenza. Come nell’ intervista proposta dal quotidiano il Sole 24Ore, Visco ha dichiarato: ”le aziende che operano nelle aree caratterizzate da alti livelli di criminalità pagavano, secondo uno studio, tassi d'interesse di circa 30 punti base più elevati rispetto a quelli pagati dalle imprese attive in zone con bassa criminalità ed erano costrette a fornire maggiori garanzie per ottenere credito». E ha aggiunto che “anche nel mercato assicurativo i premi più elevati sono stati pagati in Campania, Puglia e Calabria. Il premio medio pagato a Napoli è oltre il triplo della media Ue”.

Diventa dunque urgente che effettivamente venga approvata la legge antiriciclaggio, che rappresenterebbe un primo passo di un percorso molto più lungo e complesso. Questa strada è perseguita da molti paesi anche in forte crescita come la Cina, che sta introducendo per la prima volta misure contro il denaro “nero” in circolazione e contro la corruzione negli apparati pubblici.

Sempre il governatore ha specificato, come riportato da il Sole 24Ore: “Creare le condizioni per tornare a crescere è oggi fondamentale e urgente. Ho più volte sostenuto che l'azione di riforma deve rispondere a un disegno ampio e organico, volto a ridurre l'incertezza e ispirato a principi di efficienza, equità e legalità. Legalità, buona legislazione, regolazione efficace delle attività economiche e pubblica amministrazione efficiente sono le principali componenti di un sistema istituzionale in grado di favorire innovazione e imprenditorialità e rimuovere rendite di posizione e restrizioni alla concorrenza”.

Sembra essere questo quindi uno dei temi caldi da affrontare in modo da strutturare le condizioni necessarie per una ripresa economica che ancora non sembra essere iniziata.

mercoledì 5 novembre 2014

Occhi puntati sulla BCE di Mario Draghi

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I mercati vorrebbero davvero che draghi tirasse fuori il coniglio dal cappello, come si chiede ironicamente il Wall Street Journal (http://blogs.wsj.com/moneybeat/2014/11/05/planning-on-a-rabbithat-trick-mr-draghi/), nella riunione del Consiglio del prossimo 6 novembre.

Ma difficilmente sarà annunciata a sorpresa qualche ulteriore mossa; gli occhi e le orecchie di tutti saranno concentrati più sui toni e sulle sfumature del discorso del presidente Draghi durante la conferenza stampa.

Ci troviamo in una situazione particolare in cui, volenti o nolenti, tutte le attese sono sulle mosse/non mosse dell’istituto con sede a Francoforte.

Da un parte, mercoledì scorso la FED, come ampiamente atteso dagli operatori finanziari, ha annunciato la fine del suo programma (il terzo) di acquisto di attività finanziarie (QE3), sottolineando i progressi registrati nel mercato del lavoro statunitense e l’andamento soddisfacente dell’economia. Dall’altra parte la Bank of Japan ha, inaspettatamente, rafforzato il proprio programma di quantitative e qualitative monetary easing, annunciando, lo scorso venerdì’, l’aumento dell’ammontare dei titoli che saranno acquistati su base annuale (80 trilioni di Yen) e l’allungamento della scadenza medi del portafoglio titoli titoli di stato da acquistare (7-10).

Gli operatori e gli analisti sono, quindi, tutti rivolti verso possibili azioni o commenti da parte della BCE. Le attese per qualche mossa a sorprese sono, a dire il vero, basse. Ma la sorpresa è proprio ciò che piace ai mercati (e molto meno alle banche centrali).

Difficilmente ci saranno sensibili novità in merito all’orientamento della politica dell’Unione monetaria per due ragioni.

La prima è di tipo politico. Il presidente Draghi, infatti, potrebbe incontrare più di una resistenza, all’interno del Consiglio direttivo, per un eventuale programma di acquisto di titoli di stato su larga scala. Senza dimenticare il solito Weidmann che non perde occasioni per manifestare il suo dissenso nei confronti delle politiche non standard dell’Eurosistema (si vedano le recenti critiche ai due nuovi programmi di acquisto a titolo definitivo http://online.wsj.com/articles/bundesbanks-weidmann-criticizes-ecbs-stimulus-measures-1412693836; http://www.ilsole24ore.com/art/notizie/2014-10-07/weidmann-nuove-critiche-draghi-bce-non-sia-ostacolo-politica-183721.shtml?uuid=ABKZCw0B).

La seconda è di tipo tecnico. E’ difficile immaginare che la BCE muova nuove passi senza aspettare prima che le misure già annunciate e in corso di realizzazione comincino a manifestare gli effetti desiderati; rimanendo, inoltre, in condizioni macroeconomiche sostanzialmente invariate rispetto alla riunione precedente. Bisognerà, quindi, attendere almeno il risultato della prossima asta TLTROs e verificare l’andamento e l’efficacia dei due programmi di acquisti in corso: nell’ambito del CBPP3 sono già stati acquistati titoli per 4,8 miliardi di euro mentre gli acquisti nell’ambito del ABSPP cominceranno solo nella seconda metà di novembre.

Gli analisti si concentreranno quindi sulle minime differenze nei toni che userà il Presidente Draghi, cercando di estorcergli qualche maggiore dettaglio sui due programmi di acquisti in corso e, magari, qualche riferimento a possibili ulteriori programmi. Sicuramente Draghi darà qualche ulteriore indicazione sulla partenza del programma ABS, anche alla luce della nomina degli asset managers incaricati di condurre gli acquisti sul mercato per conto della BCE, una sostanziale novità per la banca centrale guidata da Mario Draghi (http://www.ecb.europa.eu/press/pr/date/2014/html/pr141030_1.en.html).

Ma la vera domanda da porsi è un’ altra. Un programma di allentamento quantitativo basato su massicci acquisti di titoli di stato dei paese dell’euro servirebbe davvero a far ripartire l’intera economia, agevolando i flussi creditizia all’economia reale e supportando i consumi e gli investimenti? Oppure servirebbe solo a deprezzare il tasso di cambio incentivando le esportazioni dall’area dell’euro verso altri paesi (USA in primis) che sono già sul un percorso di ripresa economica?

domenica 2 novembre 2014

iWatch: arriva la contromossa di Microsoft

http://www.repstatic.it/content/nazionale/img/2014/10/30/061919194-9ce7f57e-b4ed-447d-a8d3-c1f2babb4b93.jpg

Come sempre accade dopo il lancio di un nuovo "melaggeggino", è partita la rincorsa ad Apple iWatch.

L'idea, come racconta Repubblica mostrando le prime foto del dispositivo, è quella di battere Apple sul tempo. La domanda, è a chi possa essere venuta. La risposta parla di un gigante del web, ma il nome, non è di quelli scontati: Microsoft.

La mossa di Redmond arriva inaspettata, soprattuto considerata l'annunciata compatibilità del dispositivo con iOS e Android, come spiega l'Ansa:

"Microsoft entra nel mondo dei dispositivi indossabili per il fitness e la salute con 'Band', un bracciale che monitora sia l'attività fisica che la qualità del sonno con dieci sensori, i cui dati confluiscono sulla nuova piattaforma 'Health'. Il dispositivo, che sfida Apple e gli smartwatch con Android di Google, notifica chiamate, email e aggiornamenti social ricevuti sullo smartphone. La compatibilità non è solo con i Windows Phone, ma anche con iPhone e cellulari dell'androide."

Come per gli altri fitness watch, è pensato per essere indossato 24 ore al giorno ma i sensori non si limitano a rilevare calorie, passi e qualità del sonno, ma comprendono anche la misurazione del battito cardico, l'esposizione ai raggi UV e i livelli di sudorazione.

I dati vengono raccolti nella nuvola sulla piattaforma Microsoft Health, anche questa raggiungibile con app specifiche da iOS e Android, e analizzati per fornire suggerimenti e informazioni utili, come gli esercizi che bruciano più calorie o la quantità di sonno riposante:

"All'aumentare dei dati inseriti, ad esempio quelli contenuti nell'agenda e nelle email, le informazioni saranno più dettagliate. Il sistema potrà dire se fare colazione aiuta a correre più velocemente, o se il numero di riunioni di lavoro giornaliere influisce sulla qualità del sonno."

Il dispositivo è in vendita da oggi negli Stati Uniti a 199 dollari, un prezzo molto competitivo considerando i target price annunciati dalla casa di Cupertino.

Il dispositivo, in vendita da oggi in Usa a 199 dollari, è destinato a competere sia con l'Apple Watch, sia con gli smartwatch con sistema operativo Android Wear di Google, che in settimana ha lanciato la sua app 'Fit'.

Il mercato dei wereable è in forte crescita e entro il 2018 più che raddoppierà il suo valore, raggiungendo i 12.6 miliardi di dollari.