giovedì 20 novembre 2014

Oltre la burocrazia europea guardando al futuro

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Lo scorso lunedì 17 novembre mi sono collegato per assistere in streaming all’audizione che Mario Draghi ha tenuto alla Commissione Affari Economici e Monetari del Parlamento europeo. Draghi era presente sia in qualità di presidente dalla BCE sia in qualità di chairman dell’ European Systemic Risk Board. Entrambi gli organi, infatti, hanno obblighi di reportistica nei confronti del parlamento europeo (vedi sito BCE e ESRB). Sono, per dirla all’inglese, accountable nei confronti del parlamento europeo, come anche ricordato dallo stesso Draghi nella conferenza stampa successiva alla riunione di politica monetaria dello scorso 6 novembre. In particolare, Draghi era stato chiamato, nell’ambito dei “Monetary dialogue”, in qualità di presidente della BCE, a discutere di politiche monetarie non convenzionali, anche in relazione alla frammentazione dei mercati finanziari nell’area dell’euro, e dell’evoluzione del collateral framework dell’Eurosistema.

Ma non riporterò né commenterò nulla di quello detto dal presidente Draghi perché la mia attenzione è stata catturata da un fatto che mi ha lasciato senza parole e che mi ha fatto riflettere un po’ sulla nostra Unione europea.

Mi sono collegato, e ho ascoltato Draghi leggere il suo intervento. Dopo, è arrivato il momento delle domande dei parlamentari europei. E a questo punto lo stupore ha preso il sopravvento: ogni singolo parlamentare ha rivolto a Draghi una o più domande nella propria lingua madre! E’ vero, lo ammetto era la prima volta che assistevo in streaming a un’audizione al parlamento europeo. E forse avrei dovuto aspettarmelo. Ma sono rimasto spiacevolmente stupito.

Morale della favola: non sono riuscito a capire le domande dei parlamentari tedeschi, greci, francesi ect…

E secondo me questo è a dir poco scandaloso. Ogni parlamentare europeo dovrebbe conosce l’inglese e preparare i suo interventi in lingua inglese, che, volenti o nolenti, è la lingua internazionale maggiormente utilizzata. In tal modo ogni cittadino europeo con la conoscenza dell’inglese avrebbe capito ogni parte dell’audizione, e non solo le risposte. E pensate a quanti risparmi si otterrebbero in termini di costi per la traduzione in tempo reale etc.

E’ vero, le lingue ufficiali dell’Unione europea sono 28. E questo implica che ogni legge e atto ufficiale delle istituzioni europee debba essere tradotto in 28 lingue: un’assurdità e uno spreco dal mio punto di vista. Non devono essere le istituzioni europee a prevedere la traduzione nelle 28 lingue dell’Unione, ma le istituzioni nazionali dovrebbero, se lo ritengano necessario, provvedere alla traduzione degli atti più importanti. Lo so, questa è un’opinione un po’ estrema e da molti non condivisa (le argomentazioni a sfavore del mio ragionamento risiedono dell’accessibilità a i portatori di interesse, ovvero a tutti i cittadini europei, di atti e documenti ufficiali nella propria lingua madre).

Però, anche lasciando le 28 lingue ufficiali, sarebbe almeno logico che le discussioni in parlamento, in commissione e nelle varie sottocommissioni si tengano in una sola lingua, la più comune e conosciuta nell’Unione: l’inglese. E i rappresentati dei cittadini europei, dovrebbero essere i primi a muoversi verso questa direzione. La conoscenza della lingua inglese dovrebbe essere un requisito minimo per poter essere eletti. L’inglese, dovrebbe ancora più prepotentemente entrare nel sistema educativo di ogni stato membro dell’Unione, affiancando la lingua madre, in modo che tra qualche generazione sia naturale parlare, in contesti internazionali in inglese.

E una questione di logica, semplicità ma soprattutto di innovazione verso un futuro, un nostro futuro, di cittadini europei. L’utilizzo di una sola lingua per comunicare, infatti, realizza e sintetizza più efficacemente il motto dell’unione “United in diversity” : diversity (28 lingue, 28 nazioni, 28 culture) ma una lingua comune per poter comunicare, conosce e sintetizzare tutte le diverse componenti delle 28 nazioni.

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