mercoledì 27 maggio 2015

Grecia, accordo vicino?


Secondo le ultime notizie rilasciate da un funzionario del governo ellenico, il Brussels Group, ovvero i creditori istituzionali della Grecia (Commissione Ue, Bce e Fmi), è al lavoro su una bozza di accordo, a livello tecnico, che potrà preludere alla ripresa dei finanziamenti ad Atene.
Alcune fonti internazionali segnalano che da parte greca si pensa che già nella giornata di oggi si possa arrivare alla scrittura del testo. Si mantiene cauto invece il vice presidente della Commissione Ue, Valdis Dombrovskis, secondo il quale "non siamo ancora a quel punto: stiamo lavorando perché si arrivi a un accordo nel più breve tempo possibile".

Il funzionario dell'esecutivo ellenico ha spiegato che il premier, Alexis Tsipras, si manterrà in costante contatto con i leader al lavoro sull'ipotesi di accordo, che dovrebbe prevedere "obiettivi di avanzo primario più bassi per il primo anno". Le principali misure dell’accordo dovrebbero prevedere " una riforma dell'Iva, un pacchetto di investimenti e un alleggerimento del debito nel lungo periodo", ma nessuna misura recessiva. 

"E' tempo per i creditori di prendersi le loro responsabilità nei confronti della Grecia", ha chiosato il funzionario, secondo il quale "il problema delle divergenze tra creditori rimane" e "l'intesa sarebbe stata già chiusa se non fosse stato necessario l'ok del Fmi". Parallelamente, secondo quanto ha riportato l'agenzia Dow Jones, il premier greco, Alexis Tsipras, ha affermato che ormai l'intesa è vicina e ha anche assicurato che le pensioni verranno regolarmente pagate e che i depositi nelle banche non sono a rischio.

Tuttavia, l’incertezza sull’esito delle trattative e il timore di un default della Grecia o dell'imposizione di controlli sui capitali hanno accelerato la corsa agli sportelli dei correntisti ellenici, che nel mese di aprile hanno ritirato liquidità per 5 miliardi di euro, in decisa crescita rispetto agli 1,9 miliardi di euro di marzo. Lo segnalano all'agenzia Reuters fonti bancarie, secondo le quali solo negli ultimi giorni, con l'aggravarsi del pericolo «Grexit» sono stati prelevati dai 200 ai 300 milioni di euro ogni giorno.
Mentre si assiste dietro le quinte a qualche progresso nei difficilissimi negoziati che durano ormai da quattro mesi, Klaus Regling, presidente del Fondo di salvataggio europeo (Esm), ha lanciato l’ennesimo allarme sul caso Grecia: in un’intervista al quotidiano popolare tedesco,”Bild”, Regling ha detto che «il tempo si sta esaurendo» e che, senza un accordo, la Grecia rischia un default che comporterebbe grandi rischi. Per questo, «si lavora notte e giorno» su un possibile accordo.

martedì 26 maggio 2015

Il dollaro cresce, lo Yen ai minimi


Il dollaro si rafforza ulteriormente sulle nuove tensioni che avvicinano un possibile default della Grecia. Questo mette sotto pressione il già indebolito euro e lo yen, che ha toccato il minimo degli ultimi 7 anni. L’azionariato europeo è in una fase di flesso e lieve discesa dopo che i mercati cinesi hanno invece registrato valori ai massimi negli ultimi anni.
L’indice americano dei futures indica che Wall Street stia rientrando dopo un decremento di 7 punti base nei giorni precedenti al weekend. L’indice europeo FTSE Eurofirst 300 ha invertito una prima fase positiva andando in negativo di circa 0,3% a causa probabilmente dei movimenti politici in UK.
La situazione in Spagna è simile, se non peggiore. La borsa di Madrid è in negativo di un altro 0,4% data una maggiore forza del partito anti.austerity nelle elezioni locali che pesa sulle banche spagnole e sui bond governativi, i quali vedono il proprio benchmark dei rendimenti crescere di 9 punti base al livello di 1,88%.
Ora arriviamo alle note davvero dolenti. In Grecia, gli interessi sui prestiti a 10 anni schizzano di 59 punti base arrivando alla quota di 11,97%, a causa delle rinnovate paure che Atene non raggiungerà l’accordo con i propri creditori scagliando il paese nella condizione di non poter rimborsare i propri debiti.
I mercati azionari dell’eurozona hanno fatto un tentativo di supportare i guadagni spinti dall’indebolimento dell’euro, che genererebbe migliori condizioni per sboccare l’export europeo, ma il movimento è tornato presto negativo. La moneta unica è nuovamente indebolita e scambiata a $1,0897.
I bond governativi americani non hanno mostrato particolari movimenti a seguito dei dati pubblicati sull’inflazione americana risultata ancor più in crescita di quanto era atteso, al contrario di quanto previsto dagli investitori che vedono avvicinarsi un possibile intervento della Federal Reserve e dunque l’inizio della risalita dei tassi di interesse.
Da notare invece, l’interessante utilizzo dei bond dai parte degli investitori che pur osservando nuvole all’orizzonte di questa asset class, mantengono l’appetito considerandoli una valida alternativa per smorzare i gradi di incertezza delle economie.
Il dollaro si è rafforzato dello 0,9% nei confronti dello Yen, scambiato a Y122,67, segnando il punto più debole della moneta nipponica dall’estate del 2007. Questi livelli sono spiegati dall’interpretazione dei trader delle attuali manovre di Fed e Bank of Japan, con cui quest’ultima mantiene il gigantesco programma di quantitative easing.
Il più leggero yen aiuta la piazza di Tokyo, storicamente sensibile alle esportazioni, a generare margini positivi portando l’indice Nikkei 225 ai livelli più altri da aprile del 2000.
In questo inizio di estate più che mai sentiremo parlare di “bubbly” markets!

lunedì 25 maggio 2015

L’importanza dell’istruzione


La scorsa settimana l’Organizzazione per la Cooperazione e lo Sviluppo Economico, di cui fanno parte la maggior parte dei paesi dell’Unione Europea (21 su 28, tra cui l’Italia), ha pubblicato i dati sulla disuguaglianza economica.
In particolare, nel rapporto “In It Together: Why Less Inequality Benefits All” è stato analizzato il divario economico tra i paesi e tra i cittadini all’interno di questi.
Il risultato è stato decisamente sconfortante.
Nei paesi appartenenti all’OCSE il livello di disuguaglianza ha raggiunto i valori più alti dell’ultimo trentennio.
Il 10% più ricco della popolazione guadagna circa 10 volte di più del 10% più povero.
Un ruolo determinante è stato sicuramente svolto dalla crisi economica, che ha indebolito il ceto medio basso, flagellato dalla disoccupazione e dal lavoro precario.
Infatti il deterioramento del dato è legato ad un peggioramento delle condizioni dei poveri e non ad un vero e proprio aumento della ricchezza dei più facoltosi.
Mentre nei paesi sviluppati il divario cresce nei paesi emergenti questo ha cominciato recentemente a contrarsi, nonostante questo rimanga minore nei primi.
Come è stato sottolineato dalla stessa organizzazione, vi è un importante correlazione tra istruzione disuguaglianza e crescita economica. Infatti dove è presente una forte diseguaglianza risulta più difficile l’accesso alla scuola ed università e questa condizione priva il paese considerato di avere un buon numero di lavoratori qualificati, che notoriamente riescono a garantirsi stipendi maggiori.
Inoltre, la qualità dell’istruzione svolge un ruolo fondamentale nella crescita economica di un paese.
Studi empirici hanno dimostrato che vi è un rapporto causale tra un miglior rendimento scolastico e crescita economica del paese. Un esempio possono essere sicuramente i paesi dell’Asia Orientale (ad esempio la Corea del Sud), nei quali vi è stato un forte sostegno al potenziamento del sistema del sistema scolastico ed universitario ed una crescita economica media superiore del 2,5 % di quella globale.
In Italia, dove la spesa per le pensioni è circa quattro volte quella scolastica (che negli ultimi anni ha conosciuto continui tagli), questi risultati lasciano un po’ di amarezza.

venerdì 22 maggio 2015

Alitalia: Arriva il divorzio con Air France


Forte della sua nuova alleanza con gli arabi di Etihad, Alitalia Sai divorzia da Air France-Klm. La notizia è stata comunicata ieri dalla compagnia italiana, che non rinnoverà la partnership e i relativi accordi di joint venture ancillari con Air France-KLM, quando questi giungeranno a scadenza nel 2017. 
Gli accordi che ad oggi regolano i servizi passeggeri gestiti dai tre vettori, e il marketing, la vendita e la distribuzione dei servizi Cargo Belly di Alitalia gestiti da Air France-KLM non sono infatti ritenuti più ritenuti vantaggiosi, né dal punto di vista commerciale né da quello strategico
La collaborazione era iniziata nel luglio 2001 con un accordo commerciale durante la gestione di Francesco Mengozzi e, pochi mesi dopo, l’ingresso della compagnia italiana nell’alleanza Sky Team. L’alleanza era stata rafforzata nel gennaio 2009, quando l’Alitalia-Cai dei soci privati, presieduta da Roberto Colaninno, aveva scelto come partner azionario (con il 25%) Air France-Klm, preferendola a Lufthansa.
Secondo quanto dichiarato dall'a.d. di Alitalia Silvano Cassano gli accordi “sono stati negoziati quando Alitalia era in una posizione molto diversa, con il risultato che gli stessi accordi, nella loro forma attuale, favoriscono la controparte".

Dopo l’annuncio della disdetta di Alitalia, Air France-Klm si è limitata a confermare l’esistenza di una trattativa per valutare la possibilità, e i contenuti, di una collaborazione che consenta la prosecuzione della joint venture europea tra le due compagnie. Un annuncio così anticipato (oltre un anno e sette mesi prima!) potrebbe essere infatti finalizzato ad ottenere di più dagli accordi e non essere mirato all’effettiva cancellazione.

"Per lo sviluppo del nostro business abbiamo bisogno di accordi in grado di apportare uguali benefici a tutte le parti" ha spiegato ancora Cassano. "La nostra priorità, per l'Italia e per Alitalia, è quella di riconquistare il mercato dei turisti in arrivo nel nostro Paese, servendo al contempo gli italiani in viaggio all'estero per turismo o per affari".

"Nei nostri piani - ha spiegato ancora il manager - puntiamo a fornire soluzioni Cargo competitive per l'industria manifatturiera italiana, la seconda più grande in Europa, che ha sempre più bisogno di esportare merci in tutto il mondo. Abbiamo comunicato ad Air France-KLM che siamo disposti a discutere accordi più equi a beneficio di tutti i soggetti coinvolti, ma finora non siamo pervenuti a questo risultato. Restiamo aperti a ulteriori confronti per raggiungere una soluzione reciprocamente accettabile. Tuttavia, nell'interesse della trasparenza e della chiarezza per tutti i soggetti coinvolti, abbiamo ritenuto necessario annunciare la nostra intenzione di non rinnovare tali accordi alle condizioni attuali".

sabato 16 maggio 2015

La Finlandia alle prese con lo spettro della recessione

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I dati pubblicati dall'istituto pubblico di statistica del paese scandinavo, lo Statistics Finland, non lascia spazio a differenti valutazioni.

I risultati negativi dello scorso trimestre (quando il Pil finlandese aveva mostrato un calo dello 0,2 per cento) sono stati confermati da quelli pubblicati la settimana appena conclusa. Infatti il PIL della "tigre nordica", nel primo trimestre del 2015 ha registrato un calo dello 0,1 per cento. Risultato che permette di definire ufficialmente Helsinki in recessione. Va comunque sottolineato che questa non è una brusca ed improvvisa frenata, ma è il risultato di un lento rallentamento cominciato diversi anni fa. L'economia nazionale era già da diversi anni in  uno stato di stagnazione.

Nonostante i piccoli numeri, stiamo pur sempre parlando di uno 0,1%, la Commissione Europea tra due settimane potrebbe decidere di aprire una revisione amministrativa nei confronti della Finlandia, che è sempre stata sostenitrice del rigore.

Ma quali sono le cause di queste difficoltà?

Sicuramente l'avvento dei nuovi dispositivi di comunicazione mobile e l'avvento dei loro applicativi hanno svolto un ruolo determinate.

La Finlandia è uno dei maggiori produttori di carta, grazie alla grande quantità di legname reperibile all'interno del suo territorio. L'utilizzo sempre più diffuso di tablet, smartphone e dispositivi elettronici che hanno ridotto la domanda di carta a livello globale.

Nokia (che nel '98 rappresentava poco meno del 5% del Pil nazionale), un tempo leader nel mercato della telefonia mobile ha subito una forte contrazione del suo giro d'affari negli ultimi dieci anni, proprio a causa dell'avvento degli smartphone di cui Samsung e Apple sono i produttori di maggior successo.

Per questo la casa finlandese ha deciso di vendere la sua parte dedicata ai dispositivi mobile a Microsoft, alla quale era legata tramite l'implementazione del sistema operativo Windows Mobile.

La scelta di cedere a Microsoft quest'area fa parte di un progetto di rilancio del brand scandinavo che recentemente ha trovato l'accordo per l'acquisizione di Alcatel-Lucent al fine di concentrarsi nel mercato delle reti di comunicazione e sfidare il leader di mercato Ericsson.

Inoltre le sanzioni imposte alla Russia hanno ridefinito il giro di affari di Helsinki con l'estero. Si pensi che la Federazione Russa, guidata da Vladimir Putin, è il terzo partner commerciale di Helsinki.

E' necessaria una valida e sostenuta politica di rilancio economico per evitare che questa leggera contrazione dell'economia locale si trasformi in un pericoloso vortice.

giovedì 14 maggio 2015

Risultati trimestrali della banche italiane

Sono stati rilasciati in questi giorni i risultati trimestrali delle banche italiane. Ecco un breve riassunto per chi se li fosse persi.

Intesa Sanpaolo

La Banca guidata da Carlo Messina ha concluso il primo trimestre del 2015 consolidando un utile netto di 1,064 miliardi, valore superiore rispetto alle stime degli analisti. A seguito della diffusione di questi dati, il  titolo, nella sola giornata di lunedì, ha guadagnato l’1,19%. Secondo quanto dichiarato dall’AD questi risultati rappresentano un’ottima base di partenza per il 2015 e confermano il ruolo di Intesa nel sostegno all’economia reale, come testimoniano gli oltre 8 miliardi di nuovo credito a medio e lungo termine erogato a imprese e famiglie.

Dal punto di vista patrimoniale Intesa conferma l’elevata solidità con coefficienti largamente superiori ai requisiti normativi (Common Equity Ratio pro-forma 13,2%). Positivi anche i segnali dal punto di vista della liquidità con 110 miliardi di attività liquide.

Unicredit

Soddisfatto è anche Federico Ghizzoni con Unicredit che ha registrato un risultato netto di 512 milioni di euro nel primo trimestre 2015, con ricavi pari a 5,75 miliardi di euro (+2,9% rispetto allo stesso periodo 2014).

Miglioramenti soprattutto sulla qualità dell’attivo con i crediti deteriorati in diminuzione a 83,2 miliardi e in calo dell’1,4% su base trimestrale. Positiva anche l’erogazione del credito, segnale di una ripresa anche dell’economia italiana, dove si fanno registrare 2,17 miliardi di erogato al corporate contro gli 870 milioni del primo trimestre 2014.

MPS

Nel primo trimestre del 2015, dopo 2 anni e nove mesi di perdite, MPS ha registrato un utile netto pari a 72,6 milioni di euro; la Banca, inoltre, ha rinviato gli obiettivi del piano industriale dal 2017 al 2018 prevedendo, al suo termine, un utile di 880 milioni di euro, destinato a remunerare gli azionisti.  Secondo quanto dichiarato da Viola questi risultati aprono nuove opportunità per il futuro per il rafforzamento della banca: tra le possibilità ovviamente non si escludono opzioni strategiche di fusioni/ acquisizioni che consentano di ottenere prima del tempo gli obiettivi di redditività futura.

Mediobanca

Al termine del primo trimestre 2015, Mediobanca registra il miglior risultato degli ultimi 5 anni chiudendo, inoltre, i primi nove mesi di esercizio con ricavi a quota 1,5 miliardi di euro(+19%) ed un utile in aumento a 466 milioni di euro (+18%).

BPM

La Banca Popolare di Milano ha chiuso il primo trimestre con un utile in crescita a 67,6 milioni di euro, registrando un aumento del 5,1% rispetto allo stesso periodo dell’anno precedente. Tale risultato è stato possibile grazie all’aumento degli impieghi commerciali; in forte crescita anche l’erogazione di mutui e prestiti rateizzati.

Fideuram

Primo trimestre concluso positivamente per Banca Fideuram; la Società ha registrato a fine marzo un utile netto in aumento del 38%, pari a 125,2 milioni di euro. Il dato è riconducibile alla buona performance del mercato dei patrimoni (+4,8 miliardi) ed all’andamento positivo della raccolta netta pari a 1,1 miliardi (+46,2%).

Credem

Nel primo trimestre 2015  i prestiti alla clientela sono aumentati del 6,6% rispetto all’anno precedente; la Banca, inoltre, ha registrato un incremento dell’utile netto pari al 47,4% rispetto allo stesso periodo del 2014 . A spingere la crescita è stato il contributo apportato dal trading sui titoli governativi.

martedì 12 maggio 2015

La Cina che beve il petrolio

La Cina è ufficialmente diventato il paese con le più alte importazioni di greggio al mondo. Gli Stati Uniti sono stati spodestati dal primo posto dopo moltissimo tempo.

Nonostante l’economia cinese stia registrando un inesorabile rallentamento, quantificato in un valore di Prodotto Interno Lordo di circa 7% su base annua, il paese ha importato un totale di 7,4 milioni di barili al giorno nel mese di aprile. Gli Stati Uniti sono stabili al livello di 7,2 milioni di barili. La notizia ha creato stupore tra i mercati finanziari poiché la domanda di greggio derivante dal mercato cinese era prevista in discesa.

Ma come si sta muovendo il prezzo del petrolio? Dopo la caduta verticale dei prezzi del petrolio partita nel 2014 e rafforzata dalle decisioni dell’OPEC di novembre, nel 2015 i prezzi dei Future risultano essere quanto di più imprevedibile sia presente nei mercati. Con una crescita costante ma dettata da un’elevata volatilità, il prezzo ha sfiorato la soglia dei 70$ al barile in aprile, partendo da circa 55$ al barile in gennaio. L’imprevedibilità della traiettoria dei prezzi del greggio è data dal fatto che i fondamentali sono contrastanti rispetto alla crescita dei prezzi. Da un lato la domanda globale di petrolio stenta a decollare, ad eccezion fatta per la Cina. Questo non si associa al meglio alla costante crescita dell’offerta di greggio, ai massimi livelli di sempre a causa della produzione massiva di Stati Uniti e OPEC.

Gli investitori maggiormente esperti delle commodities hanno iniziato a scommettere sul rialzo dei prezzi fin dalle prime settimane del 2015, anticipando l’eventuale diminuzione della produzione prevista nella seconda metà dell’anno. Ad ora, a maggio, tale decremento non sembra poter accadere nel breve, anzi i livelli di produzione sembrano in lenta e costante crescita. Un esempio, gli Stati Uniti hanno aumentato la produzione di circa 340 mila barili al giorno da novembre. Come dicevamo, dopo aver sfiorato la soglia dei 70$ al barile, il petrolio è ora scambiato al prezzo indicativo di 65$ al barile.

Staccando la lente d’ingrandimento dai mercati finanziari, come impatta questa situazione sull’economia reale? L’economia ha solo da guadagnare dal prezzo debole del petrolio, specialmente in aree dove la ripresa economica è in difficoltà come l’Europa. L’ultimo aggiornamento di Confindustria ha indicato come mantenendo tali livelli dei prezzi del petrolio (range da 60$ a 70$ al barile) genererebbe un aumento del PIL pari a circa 0,5% su base annua nel 2015 e 1,1% nel 2016.

Bisogna dunque tenere monitorati gli appuntamenti dell’OPEC nei mesi caldi di giugno e luglio per capire se la traiettoria dei prezzi verrà confermata o meno, dettata appunto da un eventuale taglio nella produzione.

lunedì 11 maggio 2015

Effetto Grecia sul tasso dei cambi

L’euro è nuovamente sotto pressione e il tasso di rendimento dei bond governativi si sta innalzando a seguito delle preoccupazioni della situazione finanziaria ed economica della Grecia. L’appetito degli investitori verso il rischio sta di conseguenza diminuendo. La Grecia ha dinanzi il più grande pagamento annuale dell’anno, con il Fondo Monetario Internazionale che si aspetta di ricevere circa $770 milioni. I ministri delle finanze dei paesi dell’eurogruppo si incontreranno nella serata odierna per proseguire i confronti sulle riforme che i creditori della Grecia stanno domandando da tempo, per far approvare dunque l’arrivo di nuovi fondi ad Atene.

Uno dei tanti campanelli d’allarme è stato suonato da A. Campbell, senior analyst di FX Pro. “senza un accordo sulle riforme, la strada per scampare dalla bancarotta della Grecia si sta facendo sempre più complessa”.

Al momento, il tasso di cambio euro/dollaro è a $1,1145. I tassi di interesse del debito sovrano nei paesi periferici sono alti, con i decennale spagnolo più alto di 4 punti base a 1,72% e quello portoghese di 7 punti base a 2,33%. La situazione è leggermente più stabile considerando il bund tedesco decennale a 0,58% e quello francese a 0,87%. Il tasso di rendimento a due anni dei titoli della Grecia è schizzato a +21 punti base al livello del 20,78%. All’esterno dell’eurozona, i titoli del tesoro statunitense sono aumentati di 4 punti base a 2,19%.

I mercati dei capitali sono in lieve ribasso, perché gli investitori hanno interrotto il rally di venerdì spronato dai dati del US job report. La situazione è uniforme sia tra i mercati europei sia per quelli americani, con S&P e Dow Jones Industrial Average sostanzialmente invariati. Il prezzo del greggio è in leggero calo a 65$ al barile, mentre l’oro è in lieve aumento a 1.188,75$ all’oncia. La People’s Bank of China domenica ha tagliato il proprio benchmark dei tassi d’interesse a 5,1% ed abbassato il proprio tasso di deposito a 2,25%. Questo segnale dalla Cina sostiene la politica attuata recentemente di intensificare le misure per contrastare il rallentamento dell’economia e l’aumentare del rischio di deflazione. Il mercato di Shanghai ha festeggiato la manovra, rispondendo con un netto salto di oltre 3%, che guarisce dal margine negativo generato durante la scorsa settimana di oltre 5%, il più ampio di oltre mezzo decennio.

Gli analisti però restano allarmati sulle prospettive dei mercati asiatici, poiché il rally della borsa cinese sembra essere dettato maggiormente da un aumento di liquidità piuttosto che da una crescita economica, innalzando dunque il rischio bolla speculativa, definito dall’”outlook bubbly”.

mercoledì 6 maggio 2015

La maison Roberto Cavalli passa a Clessidra

Cambio di proprietà per la storica maison fiorentina Roberto Cavalli che è finita in mano a Clessidra, una delle più grandi società di investimenti in Italia. Il fondo, guidato da Claudio Sposito, ha acquisito la maggioranza del capitale azionario della griffe toscana (90%) tramite una società di nuova costituzione denominata Varenne, per una cifra che dovrebbe ammontare a circa 390 milioni di euro (un multiplo di circa 16 volte l’EBITDA). Lo stilista-fondatore manterrà il 10% e il ruolo di “ambasciatore” del marchio, oltre ad avere un posto in consiglio di amministrazione.

Nell'azionariato di Varenne ci saranno anche alcuni co-investitori con quote di minoranza, tra cui il fondo internazionale L-GAM e Chow Tai Fook Entreprises Limited, holding di Hong Kong controllata dalla famiglia Cheng.

La firma dell’accordo non giunge inaspettata in quanto l’annuncio dell’avvio delle trattative era stato dato lo scorso dicembre, quando Clessidra aveva avuto la meglio sui russi di VTB Capital e su altri fondi di private equity  (in primo luogo Permira, ma anche Investcorp).

Nell'ambito dell'operazione Roberto Cavalli è stata affiancata dallo studio legale Bonelli Erede Pappalardo e dall'advisor finanziario Bnl BNP Paribas, la proprietà dal team UHNWI di Credit Suisse Italy. Invece Clessidra è stata supportata da Banca Imi e dallo studio Gattai, Minoli, Agostinelli & Partner.
Come evidenziato anche nel comunicato stampa rilasciato nei giorni scorsi, l’ingresso nel Gruppo Roberto Cavalli rappresenta per Clessidra la prima operazione realizzata attraverso il terzo fondo in gestione, Clessidra Capital Partners 3 (CCP 3) che sarà principalmente dedicato a investimenti nel mercato italiano.
Assumerà la carica di presidente della casa di moda Francesco Trapani, vicepresidente esecutivo di Clessidra con esperienza nel settore del lusso per precedenti cariche in Bulgari e LMVH, mentre Renato Semerari lo affiancherà nel ruolo di amministratore delegato.

Secondo quanto dichiarato dallo stilista fondatore della maison ai margini del closing, l’operazione permetterà di valorizzare il brand Cavalli e di vincere le nuove sfide che il mercato del lusso impone. Soprattutto quelle sui mercati asiatici, dove Cavalli punta a espandersi soprattutto grazie all’appoggio strategico della famiglia Cheng, presente nell’azionariato di Varenne sebben in quota minoritaria.
Francesco Trapani ha spiegato di aver voluto "fortemente" il raggiungimento di questo accordo perché crede nelle potenzialità di Roberto Cavalli, "un'azienda dallo stile unico, con un posizionamento con pochi eguali e una riconoscibilità realmente globale. L'identità del brand Cavalli rappresenta una ricchezza che vogliamo preservare, un fattore chiave su cui fonderemo tutti i progetti di crescita internazionale dell'azienda".

sabato 2 maggio 2015

La crisi che non finisce: in Europa il debito continua a crescere sul PIL

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I dati pubblicati alla fine di Aprile da Eurostat, ufficio di statistica dell'Unione Europea, non lasciano a valutazioni alternative: l'Eurozona non riesce ad uscire dal tunnel rimanendo impigliata nell'austerità, stagnazione e debito.

Sebbene il rapporto Deficit/Pil è andato incontro ad una leggera riduzione di mezzo punto percentuale (dal 2,9%  del 2013 al 2,4% del 2014), il rapporto tra debito e Pil ha registrato un incremento di un punto, passando dal 91% al 92% mostrando come il debito pubblico abbia praticamente continuato ad aumentare dallo scoppio della crisi.

Ciò che rende ancora più preoccupante questo dato è il calo, seppur lieve, della spesa pubblica nei paesi dell'area euro che dal 49,4% al 49%.

Nell'Eurozona, su 19 stati, soltanto 3 paesi riescono a rispettare il limite del 60% nel rapporto Debito/Pil definito dai trattati europei.

Il peggior risultato mostrato dall'indice  sopra indicato (tra il 2013 ed il 2014) è, come facilmente prevedibile, della Grecia (dal 175% al 177%), seguita dall'Italia (dal 128% al 132%, il maggior peggioramento) e Portogallo (dal 129,7% al 130,2%). Anche in Spagna e Francia il rapporto Debito/Pil ha registrato un aumento, dal 92% al 97% per gli iberici e dal 92% al 95% per i cugini d'oltralpe.

Differentemente dai paesi poco sopra citati la Germania, oltre ad una contrazione del debito sul pil (dal 77% al 75%, in calo per il secondo anno consecutivo), ha registrato un attivo nel bilancio federale dello di quasi un punto percentuale (+0,7%).

A registrare un surplus di bilancio a chiusura 2014 sono state anche Danimarca (+1,2%), Lussemburgo (+0,6%) ed Estonia.

In particolare, la piccola  repubblica che si affaccia sul Mar Baltico ha ottenuto il miglior risultato di tutta l'area euro nel rapporto Debito/Pil, pari al 10,6%. Al secondo posto, seppur ben staccato, si trova il Lussemburgo con un rapporto tra Debito e Prodotto Interno Lordo del 23,6%.

Sebbene nell'ultimo trimestre 2014 nella zona euro vi è stato un leggerissimo miglioramento nel rapporto del tasso di debito sul Pil (-0,1%), la luce in fondo al tunnel sembra davvero molto molto lontana.

E' necessario, per i governi europei, agire velocemente a sostegno del Prodotto Interno Lordo e sfruttare l'opportunità creata dalla BCE con il Quantitative Easing.

venerdì 1 maggio 2015

Twitter: il cinguettio che non si doveva sentire

Gli ultimi dati di bilancio di Twitter raccontano tante cose, cominciando dai 3 tweet che li hanno anticipati, in una storia di cyber-spionaggio ottima da romanzare. Non avevano fretta di annunciarli dal board della società americana e invece, in un certo senso, sono stati proprio loro ad anticiparli pubblicando i 3 sentenziosi cinguettii di Selerity, un sito di "intelligence finanziaria" americano.

Si è saputo quindi con qualche ora di anticipo e, soprattuto, a mercati aperti, che le aspettative di crescita del social network americano erano state disattese. Utile in crescita a 7 centesimi per azione ma fatturato e utenti attivi in calo a causa della "debole risposta" degli utenti ai nuovi prodotti, come lo stesso CEO Costello ha poi spiegato commentando i dati mentre il titolo crollava in borsa, rimangiandosi buona parte del 31% di crescita che aveva realizzato. Resta da vedere se la SEC deciderà di avviare un inchiesta per quanto accaduto.

Comunque andrà, l'affaticamento di Twitter nella diversificazione del prodotto e nella raccolta pubblicitaria restano oggettive, con il social network che controlla oggi solo lo 0,87% della (grande) torta della pubblicità online, ampiamente sotto il benchmark imposto dal concorrente più diretto, Facebook, che raggiunge già oltre l'8%.

Non sarà facile per Twitter ritagliarsi uno spazio importante nel mercato pubblicitario online, almeno non senza un secondo "reboot" che segua quello voluto da Costello e già realizzato nel corso di quest'anno con risultati, appunto, non esaltanti.

Il panorama pubblicitario dell'online è scarsamente dinamico, con i top player a farla da padrone nella raccolta e con posizioni consolidate e definite. Google fa il primo della classe grazie al network di AdWords che comprende non solo il motore di ricerca e i prodotti satellite della casa di Mountain View (quali ad esempio Gmail e YouTube, per citare i più importanti) ma anche una rete di siti partner sui quali pubblica i suoi annunci, senza dimenticare tutto il segmento mobile dove con Android e le app brandizzate (come Google Maps) il colosso californiano si assicura un'altra importantissima fetta del mercato (soprattutto in prospettiva, vista la costante crescita della fruizione mobile dei contenuti digitali).

E Twitter in uno scenario così, dove si potrebbe inserire? Il social network cinguettante dovrebbe consolidare l'unico mercato nel quale è davvero leader, quello della social TV, facendo leva sul suo strumento più potente: l'hashtag. Abbinato oggi a un numero sempre crescente di programmi televisivi, l'associazione tra il social network e gli show è sempre più forte, rendendolo leader assoluto del social chatting televisivo e padrone di un ponte che diventerà sempre più importante: quello tra contenitore e contenuto.

Forse, il "reboot" dovrebbe partire da qui: dal telecomando.