martedì 30 dicembre 2014

Presidente della repubblica: who's next

Quirinale

Mancano ormai pochi giorni al consueto discorso di fine anno del Presidente della Repubblica, che si preannuncia particolarmente significativo. Giorgio Napolitano ha infatti deciso di rassegnare le proprie dimissioni per motivi principalmente legati all'età dopo nove anni di mandato (7+2). E lo fa in un momento in cui il Paese sembra avviato verso un percorso di crescita (seppur ancora in salita), la situazione politica pare stabilizzata e le crisi istituzionali superate. Questa decisione alza il sipario sulla questione del successore di Napolitano al Colle. Chi sarà il prossimo Presidente della Repubblica italiana?

Il nuovo Capo dello Stato dovrà essere - come minimo -persona autorevole, di indubbio spessore istituzionale, con un profondo senso dello Stato, possibilmente con una buona reputazione a livello internazionale e, soprattutto, dovrà trattarsi di persona gradita a tutti gli schieramenti politici. Apparentemente nessun protagonista della scena politica e istituzionale italiana sembrerebbe rispondere a questa descrizione.

Eppure é arrivato il momento di buttare sul tavolo qualche nome. In realtà la stampa ne parla già da tempo: Mario Draghi, Romano Prodi e Stefano Rodotà sono i nomi più citati. Tuttavia sembra improbabile che l'attuale Presidente della BCE lasci l'incarico in un momento così delicato per l'economia europea, in cui una sua uscita di scena minerebbe la credibilità dell'Eurosistema; Rodotà, seppure persona autorevole, avrebbe gli stessi limiti anagrafici di Napolitano (81 vs 89 anni) oltre ad essere giå stato "bruciato" nella scorsa elezione, mentre su Romano Prodi pesa il veto della destra, già opposto due anni fa (è di qualche giorno fa però la notizia che Berlusconi "non direbbe no a Prodi"). Circola anche il nome di Padoan (con Bini Smaghi al dicastero dell' Economia in sua vece) che sembra essere benvoluto dallo stesso Napolitano come suo successore.

Ma se invece fosse il turno di una donna? Aldilà di disquisizioni sulle quote rose, si tratterebbe di una svolta epocale per un ruolo finora riservato agli uomini. Ma quali i possibili nomi? Già due anni fa era circolato quello di Emma Bonino, la pasionaria della politica italiana. Ma noi avremmo in mente un'altra candidata: Anna Finocchiaro. Autorevole come poche donne sulla scena politica italiana, con un profondo senso delle istituzioni, potrebbe rappresentare una valida alternativa. Purtroppo non soddisfa il criterio della bipartisanship, in quanto donna del Pd, e difficilmente si giungerebbe ad un ampio consenso sulla sua nomina, anche se una sua eventuale candidatura potrebbe ricucire lo strappo interno al Pd.

Anche Anna Maria Tarantola, attuale presidente della Rai dopo una vita passata in bankitalia, potrebbe rappresentare un'interessante alternativa da tenere in considerazione.

A noi piacerebbe vedere finalmente una donna ricoprire la più alta carica dello Stato perché, per citare una bella canzone "voglio che le cariche importanti, dove si decide per il mondo, vengano assegnate solo a donne madri di figli. Sarei così curioso di vedere se all' interno delle loro decisioni riuscirebbero a scordarsi il loro futuro" (https://m.youtube.com/watch?v=5udRNUHr-UI)..

Ad ogni modo, nelle prossime settimane il dibattito sarà intenso e gli italiani confidano in una nomina che, come con Napolitano, porti unità al paese e garantisca quel profondo rispetto per lo Stato di cui tutti abbiamo bisogno. Una nomina che giunga in tempi rapidi senza lasciare il minimo spiraglio di incertezza.

domenica 28 dicembre 2014

Cuba e Stati Uniti tornano a parlarsi

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Dopo 55 anni di gelo Stati Uniti e Cuba hanno avviato i negoziati per normalizzare i rapporti diplomatici tra i due paesi, ufficializzati dalla liberazione del cittadino americano Alan Gross.

Anche se al momento non è stato rimosso l'embargo, sono stati apportate importanti modifiche distensive.

Infatti, sia Cuba che gli Usa avranno una ambasciata ufficiale nelle rispettive capitali, inoltre sono previste riduzioni nelle limitazioni dei movimenti delle persone e delle merci tra i due paesi e la possibilità di collaborazione tra banche statunitensi e cubane.

Ma cosa ha spinto i due paesi ad avvicinarsi dopo così tanto tempo?

Dalla parte degli Stati Uniti, oltre alle pressioni della lobby economica della Florida che giudicava inutile ed anacronistico l'embargo nei confronti della isola caraibica, c'è una forte motivazione politica in linea con il processo di espansione dei rapporti diplomatici che hanno caratterizzato gli USA negli ultimi mesi. Quindi una delle motivazioni è sicuramente isolare sempre più la sempre più debole Russia che ha subito un forte shock a causa della riduzione del prezzo del petrolio.

Ed è ancora il prezzo del petrolio a spingere il paese governato da Raul Castro verso Barack Obama.

Il recente ed importante calo del prezzo del barile non ha solamente danneggiato la nazione guidata da Vladimir Putin, ma anche il Venezuela, paese cardine dell'economia sudamericana e legato strettamente con l'Avana alla quale fornisce il greggio per i servizi essenziali. Inoltre Cuba rivende alle altre isole una parte del petrolio acquistato ricavandoci un proprio margine che ovviamente si è ridotto proprio a causa delle fluttuazioni del prezzo al barile.

La crisi economica che ha colpito Caracas, dove l'inflazione ha raggiunto il 60% e la produzione è ferma da un anno, ha costretto Raul Castro ad avvicinarsi al nord per non essere inghiottito nelle difficoltà del paese governato da Nicolas Maduro, successore di Hugo Chavez.

Quindi, alla fine, questo avvicinamento è frutto della necessità di sopravvivenza. D'altronde, risulta azzeccata la celeberrima frase di James Carville per la vittoriosa campagna di Clinton del 1992 , "it's the economy, stupid"!

venerdì 26 dicembre 2014

I russi fuggono: boom di Visti in UK

La fascia dei milionari russi sembra stia velocemente prendendo le distanze dalla propria patria. Recenti dati mostrano come sia presente un forte incremento delle domande di visto del Regno Unito, collegato probabilmente al peggioramento dello scenario economico russo. Questo rappresenterebbe solo uno dei molteplici effetti che si registrano nei mesi recenti e tale trend sembra acquisire sempre più forza.

L’ “Investor Visa” è letteralmente un visto garantito dal Regno Unito ai quegli stranieri che desiderano ricevere in modo rapido la cittadinanza e che sono disposti ad investire sul territorio un valore tra €1 Mln e €10 Mln. Come riportato dal Home Office britannico, il numero di visti effettuati durante questo anno è incrementato del 69%. In dettaglio, nei primi 9 mesi dell’anno, oltre 160 investitori russi hanno richiesto il visto, contro circa 90 nello stesso periodo nel 2013.

Il crollo del petrolio, le sanzioni dei paesi occidentali contro Mosca per le azioni di guerra compiute in Ucraina e il declino del Rublo creano il panorama perfetto per far decollare i capitali altrove, lontano dal territorio russo. Il rublo ha perso circa il 36% solamente nella scorsa settimana, e sembra che qualche accenno positivo stia arrivando dopo le manovre della banca centrale.

La fascia più ricca e potente della società russa sta quindi esplorando rapide soluzioni per salvaguardare i propri patrimoni milionari. Gli “investor visas” del Regno Unito sono tra le alternative più apprezzate da russi e cinesi e recentemente il governo sembra voglia rendere più complicato il loro rilascio. Un esempio è l’innalzamento della soglia minima di investimento richiesto da €1Mln a €2Mln e la presenza di limitazioni sulla natura dell’investimento da compiere. Fino a prima degli ultimi aggiornamenti, agli investitori stranieri che applicavano per il visto era data la possibilità di investire solo un quarto del totale del capitale nelle proprietà immobiliari britanniche. Limitazioni in questo senso sembrano essere una decisa risposta verso le tensioni interne che percepiscono una bolla speculativa proprio nei prezzi del real estate.

Alcuni studi sulle azioni del Home Office hanno registrato entrate di capitali di circa €500Mln solamente nel mese di febbraio 2014. Resta sempre da mantenere l’attenzione alta verso questi enormi flussi di capitale a causa del deterioramento delle condizioni economiche del grande orso russo.

martedì 23 dicembre 2014

Sony: che la cyberguerra abbia inizio

Non è un film, ma potrebbe diventarlo. Di certo, l'attacco a Sony ha conquistato la scena di tutti i notiziari del mondo. Un fatto storico forse, un caso esplosivo. Si tratta di un attacco hacker senza precedenti per scala ed entità, probabilmente opera di un team di pirati informatici piu chè dalla mente di un singolo attaccante.

Tutto comincia a giugno, quando l'ambasciatore nordcoreano all'Onu denuncia e accusagli Stati Uniti in una lettera al segretario generale Ban Ki-Moon di sponsorizzare attraverso la trama di un film terrorismo e atti di guerra. Il film in questione è "The Interview", una produzione Sony dove i protagonisti, due giornalisti, sono assoldati dalla Cia per assassinare il leader nordcoreano. La protesta cade nel vuoto e il film rimane regolarmente programmato per Natale.

Il 24 novembre però, Sony si accorge di aver subito un pesantissimo attacco hacker. I dipendenti non riescono più ad accedere alla rete aziendale e su tutti i monitor compaiono scheletri e un messaggio "Hacked by GOP", ovvero "bucati" dai Guardiani della Pace. Più di tutto però, la società realizza che una grossa mole di dati riservati sono stati cancellati e che altrettanti contenuti segreti sono stati diffusi online.

La stima parla di circa 38 milioni di file resi pubblici, tra cui email, stipendi e perfino film ancora non usciti come "Still Alice", "Annie", "To Write Love on Her Arms" e "Fury".

A due giorni dall'attacco, "Fury", risultava scaricado da 880.000 diversi indirizzi ip.

Da lì in poi, il massacro non si è fermato. Decine e decine di "leaks" sono stati resi pubblici e ripresi dai media, fino ad arrivare ad email imbarazzanti scambiate tra i dirigenti dell'azienda dove si fanno commenti sulle stare Hollywoodiane e perfino sul presidente degli Stati Uniti Barack Obama, oltre a stipendi dei top manager e un piano antipirateria realizzato dalle major cinematografiche (che sembrano avere anche Google nel mirino).

La co-presidente di Sony Pictures, Amy Pascal, ha confermato che gli hacker hanno avuto accesso anche agli archivi degli ultimi 10 anni di posta elettronica dei dipendenti dell'azienda e a segreti industriali che riguardano anche altre aziende, come Snapchat.

Parte così la caccia ai banditi e la Corea del Nord viene chiamata in causa già il 29 novembre dal blog re/code che ricorda la lamentela di Pyongyang all'Onu con riferimento all'imminente uscita di The Interview, seppur gli  hacker non abbiamo mai menzionato nè rivendicato il film come motivazione alla base dell'attacco. Secondo Mashable i dirigenti Sony avrebbero ricevuto una mail che chiedeva un riscatto per evitare un "bombardamento" imminente.

Scende in campo anche l'Fbi che il primo dicembre afferma di stare investigando sul caso e qui, per la prima volta, fonti governative anonime sembrano confermare la pista nordcoreana. Accuse poi subito rispedite al mittente.

Seguono giorni confusi, in cui diventa difficile, se non impossibile, capire dove finisce la verità e dove inizia la finzione. Seguiranno infatti minacce più o meno firmate, rivendicazioni, negazioni, richieste di ritiro del film, informazioni mediche sui dipendenti Sony che a loro volta fanno causa alla società rivendicando un diritto alla privacy non sufficientemente tutelato.

Si arriva al 16 dicembre, quando i Guardiani della Pace pubblicano l'indirizzo e-mail del Ceo Michael Lynton e postano nuove minacce, evocando l'11 settembre, contro i cinema che decidessero di proiettare The Interview, scatenando il panico. Seppure il Dipartimento di Sicurezza americano abbia garantito che non esiste alcun elemento credibile riferibile ad un rischio concreto di attacco nei confronti dei cinema questo non ha evitato a Sony di essere accusata e criticata anche dagli stessi americani.

Il 19 dicembre, l'Fbi accusa ufficialmente il governo della Corea del Nord sulla base di elementi tecnici compatibili con precedenti attacchi orchestrati dal governo di Pyongyang.

Gli esperti informatici restano scettici e l'ombra della prima cyberguerra mondiale sembra così affacciarsi sul web, seppure Obama abbia negato, il 21 dicembre, che si sia trattato di un atto di guerra e gli attivisti digitali hanno già lanciato l'allarme per mettere in guardia dal rischio che questo evento sia usato dai governi per un nuovo giro di vite liberticida in tema di Rete.

Mettete i bit nei vostri cannoni.

domenica 21 dicembre 2014

Russia e il rischio default

In pochi mesi la Russia è passata da uno scenario economico stabile ad una situazione drammatica, la peggiore dall’inizio del nuovo millennio. Uno dei paesi più importante e potenti del mondo è stato messo in ginocchio in tempi record, e quello che sembrava non potesse accadere nemmeno negli incubi più brutti è invece divenuto realtà. Osserviamo più da vicino gli aspetti che compongono questo quadro.

Il primo fattore critico è rappresentato dalla guerra in Crimea e le relazioni con l’Ucraina. Nel 2014 Putin ha voluto dare un messaggio forte al mondo, occupando un’area strategica per le ricchezze presenti. Questo ha avuto un forte eco in termini di popolarità e rispetto circa la popolazione Russa. Ma altrettanto forte è stata la risposta dei paesi occidentali, con delle azioni imminenti volte a punire l’atto della Russia. L’unione Europea e gli Stati Uniti hanno infatti delineato delle sanzioni economiche durissime che hanno come destinatario Putin. La Russia si torva praticamente isolata dal resto dei paesi occidentali, e questo ha creato ripercussioni a catena. Un primo effetto si è manifestato con la fuga di capitali dalla Russia, quantificati in oltre 100 Mld di euro. In secondo luogo si sono registrate delle contrazioni nelle esportazioni di paesi come l’Italia, stimate in oltre -20%,  poiché tali partner hanno sempre avuto interessi stabili verso la Russia.

Il secondo macro fattore che compone la drammatica situazione Russa è rappresentato dal crollo del greggio avvenuto nel 2014. Wired.it riassume in modo efficiente i recenti movimenti del petrolio e gli effetti sul mercato azionario Russo: “Nelle ultime ore si è registrato anche un ulteriore crollo del prezzo del greggio, sceso per la prima volta dal luglio 2009 sotto la soglia dei 60 dollari al barile (dall’inizio dell’anno il valore è diminuito del 45%). Contemporaneamente la borsa di Mosca ha perso circa il 19% del proprio valore: un crollo simile non si era mai avuto dal 1995. Tra gli ultimi mesi del 2014 e l’inizio del 2015 si stima un’inflazione tra il 9% e l’11%, mentre per il 2015 tutti gli economisti concordano sulle previsioni di recessione (con percentuali che variano, a seconda delle stime sul prezzo del petrolio, tra -0,8% e -4,7%)”.

Il terzo fattore è l’andamento del Rublo. La moneta si è indebolita rapidissimamente nelle ultime settimane, diventando la moneta più debole del mondo. Se ad inizio 2014 erano necessari 45 rubli per acquistare 1 €, ora ne occorrono circa 90. Oscillazioni di tale entità provocano ripercussioni estreme sull’economia interna di un paese. La banca centrale Russa ha tentato di limitare il crollo della propria valuta innalzando i tassi di interesse dal 10.5% al 17%, ma la manovra non ha avuto gli effetti desiderati. Inoltre, nella giornata di lunedì 15 dicembre la banca centrale ha cercato di sostenere la propria moneta con investimenti nell’ordine di 2 Mld di euro.

Una notizia sugli effetti della forte svalutazione del Rublo è anche la decisione di Apple di sospendere le vendite online dei propri prodotti. "A causa delle fluttuazioni estreme del valore del rublo, il nostro negozio online in Russia non e' al momento disponibile, mentre rivediamo i prezzi. Ci scusiamo con i clienti per il disagio", viene comunicato da Apple.

Il rischio default sembra essere quanto più concreto e inevitabile, restano solo da osservare le future manovre dei paesi occidentali che dovranno decidere se proseguire con la punizione della Russia o se alleggerire le sanzioni.

venerdì 19 dicembre 2014

Tra scioperi e Jobs Act

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Si preannuncia un inverno molto caldo in Italia.

Secondo Susanna Camusso, segretario nazionale della CGIL, lo sciopero di venerdì 12 Dicembre sarà solo uno dei tanti che verranno programmati nel caso in cui il governo non decida di rivedere il Jobs Act e le proprie politiche sul lavoro.

Per poter comprendere quello che sta succedendo nel Belpaese è necessario fare un po' di ordine: senza entrare nel merito di quanto sia glamour l'inglesismo del nome, che cos'è e prevede il Jobs Act?

Innanzi tutto questo atto è sostanzialmente una legge delega che per definizione indica una legge ordinaria tramite cui il Parlamento delega il governo in carica ad esercitare funzione legislativa su di un determinato oggetto. Inoltre la legge delega, per essere valida deve contenere delle indicazioni minime che comprendono l'oggetto della legge, il tempo massimo di durata della delega, ed infine principi e direttive definiti dal Parlamento all'interno dei quali deve muoversi il governo nel produrre i decreti attuativi (che stando alle previsioni govenative dovrebbero essere emanati a partire da Gennaio 2015).

Il Jobs Act andrà a fare modifiche importanti al mercato del lavoro nostrano modificando sia la struttura contrattuale che quella previdenziale.

E' prevista l'introduzione di un nuovo tipo di contratto che sarà caratterizzato da tutele crescenti legate all'anzianità di servizio,sino ad arrivare alle tutele garantite dalla attuale normativa. In teoria l'obiettivo è quello di sostituire con questa forma contrattuale gli attuali contratti a progetto e di collaborazione anche se per sapere se questo avverrà bisognerà aspettare l'emanazione del decreto di riferimento.

Riguardo la modifica del celeberrimo articolo 18, che ha sollevato le maggiori polemiche nonchè le agitazioni promosse dalle associazioni sindacali, il principale cambiamento è rappresentato dalla eliminazione del reintegro nel caso di licenziamenti per motivi economici e la previsione del solo indennizzo.

L'indennità di disoccupazione sarà legata, per durata (che potrà superare i 18 mesi previsti attualmente) ed importo, alla carriera contributiva del lavoratore e sarà estesa anche agli attuali contratti di collaborazione per i quali verrà introdotta anche la tutela legata al periodo di maternità.

In aggiunta, è previsto il potenziamento degli strumenti volti a favorire l'incontro tra domanda ed offerta di lavoro tramite la costituzione di una agenzia nazionale per il lavoro, il cui funzionamento ci sarà svelato solo all'attuazione dei decreti governativi. Su questo argomento sono personalmente in spasmodica attesa.

L'aspetto che più potrebbe lasciare perplessi è quello legato alla certezza del ridimensionamento dei diritti garantiti dall'articolo 18 e alla non garanzia di sostituzione dei contratti precari con contratti a tempo determinato.

L'unica cosa certa è che nel mercato del lavoro nostrano è necessaria una riforma in quanto in Italia esiste un sistema occupazionale a due velocità.

Quello dei nuovi contratti, con pochissimi diritti e tanta incertezza (ad esempio il contatto a progetto non garantisce ferie e malattia) e i contratti a tempo indeterminato tradizionali, che rappresentano quasi una utopia per la maggior parte dei giovani lavoratori.

Riuscirà il governo di Renzi a produrre una riforma efficace?

mercoledì 17 dicembre 2014

Il business delle Olimpiadi

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L'altro ieri il presidente del consiglio Matteo Renzi, nel corso della cerimonia di consegna dei «Collari d’oro»,  ha annunciato ufficialmente la candidatura di Roma come sede ospitante dei Giochi Olimpici del 2024: “Assieme al Coni saremo a fianco a fianco perché l’Italia presenti la propria candidatura ai Giochi del 2024. Una candidatura che ci riempie il cuore, saremo all’avanguardia nelle strutture, nel progetto”. Renzi ha continuato sostenendo la sua ferma intenzione di vincere: “Da gennaio partirà il Comitato promotore sotto la guida di Giovanni Malagò e non lo faremo con lo spirito di De Coubertin, per partecipare: lo faremo per vincere, statene certi. Il Governo italiano è pronto insieme al Coni a fare la propria parte, per un progetto fatto non di grandi strutture ma di grandi persone. […]”

Il che vuol dire:niente soldi ma tanto impegno. Ma basta? Ho i miei dubbi.

I principali quotidiani hanno riportato la notizia con tono patriottico, sostenendone l’opportunità: si veda, per esempio, il CorrieredellaSera, la Repubblica e ilSole24ore. Ma quanto costa organizzare un’olimpiade? E conviene davvero?Le olimpiadi di Londra 2012 sono costate poco più di 13 miliardi di sterline (pari a circa 16,5 mld di euro) quelle di Atene 2004 sono costate ufficialmente 9 miliardi di euro (ma bisogna considerare anche il costo di mantenimenti degli impianti che sono rimasti per lo più inutilizzati, senza considerare gli effetti che hanno avuto sui conti pubblici della Grecia), molto meno comunque rispetto a Pechino 2008 (40 miliardi di euro).

Sul fatto della convenienza economica io non sono un esperto e no posso formulare un giudizio completo. Sicuramente si creano opportunità di crescita, di sviluppo, di occupazione, oltre a possibilità specifiche come quella di concludere i lavori del palazzetto per il nuoto progettato da Calatrava per i Mondiali di nuoto del 2009 (quasi 6 anni fa!!) e mai terminato. Per un giudizio più completo riporto il link di un articolo di Giuliano Canova del luglio 2012: http://www.lavoce.info/archives/2530/olimpiadi-ne-vale-la-fiaccola/

In ogni caso, oltre a possibilità di sviluppo ci sono anche rischi da tenere in considerazione e da affrontare come riporta Marco Castelnuovo  su La Stampa: Le Olimpiadi sono la cosa più bella che c’è. Ma bisogna meritarsele e permettersele. Roma, e Milano e Venezia solo per restare agli scandali di questo 2014, non se le merita. L’Italia in generale non è pronta a spendere una cifra che si stima possa essere di 10 miliardi di euro (di cui la metà tutti pubblici) per tre settimane di sport. Anche vista l’incapacità di gestire le strutture nate per i grandi eventi sportivi dopo che questi sono finiti (sì, post Torino2006 compresa). Certo, con le eventuali Olimpiadi di Roma si potrebbero concludere i lavori del palazzetto per il nuoto pensato per i Mondiali 2009 nella Capitale. Un progetto di Calatrava che doveva costare 40 milioni, finora ne è costato 250 e non è ancora finito (cinque anni dopo la fine dell’evento).  Le Olimpiadi sono una cosa seria: lasciarle in mano a Buzzi e Carminati è un rischio che non possiamo permetterci.

Cercando su google notizie della candidatura di Roma a ospitare le Olimpiadi google propone due possibili ricerche agevolate: “Roma candidata olimpiadi 2024” e “Roma candidata olimpiadi 2020”. Mi sono ricordato, infatti, che solo pochi anni fa Monti aveva chiuso le porte alla candidatura della capitale: Non ci sentiamo di prendere un impegno finanziario che potrebbe gravare in misura imprevedibile sull'Italia nei prossimi anni”  spiegato il premier, sottolineando che in una situazione di difficoltà per il Paese il governo non pensa «sarebbe coerente impegnare l'Italia» in una operazione che «potrebbe mettere a rischio i denari dei contribuenti» «Le turbolenze finanziarie, quello che accade in Grecia, non consentono di prescindere da questa situazione, se vogliamo che non vengano messi a rischio i benefici conseguiti con i sacrifici richiesti ai cittadini - ha detto Monti – Il governo non ritiene che sarebbe responsabile, nelle attuali condizioni dell'Italia, assumere questo impegno di garanzia dei costi delle Olimpiadi […]Non vogliamo che chi governerà l'Italia nei prossimi anni si trovi in una situazione di difficoltà (da Il Messaggero).

Mi chiedo: cosa è cambiato rispetto a due anni fa? E’ vero lo spread è diminuito significativamente e qualche riformare strutturale è stata realizzata, ma soprattutto molti sacrifici sono stati fatti, da molti, dai soliti. Ma siamo pronti a rischiare molto in questa nuova avventura?

E, purtroppo, il mio pensiero non fa altro che finire a “MafiaCapitale” e allo scandalo delle tangenti relative a EXPO 2015. Ma oggi sono pessimista… domani è un altro giorno.

lunedì 15 dicembre 2014

Bitcoin: arriva Microsoft




microsoft accetta bitcoin informatblog Microsoft accetta Bitcoin Per Windows, Windows Phone e Xbox microsoft aziende  xbox one windows microsoft Bitcoin La notizia è di quelle che scuote i mercati. Coindesk ha infatti svelato un retroscena secondo il quale Microsoft, che sta attraversando una fase di profonda trasformazione guidata e ispirate dal suo nuovo CEO Satya Nadella, il gotha del Cloud Computing che ha preso le redini della società nel mese di febbraio, sarebbe ad un passo dall'accettare ufficialmente pagamenti in Bitcoin per alcuni dei propri prodotti.


La casa di Redmond dovrebbe infatti inziare ad accettare Bitcoin per pagamenti relativi all'acquisto di giochi e altri contenuti digitali sulle piattaforme Windows, Windows Phone e Xbox. Secondo i membri della sezione bitcoin di Reddit Microsoft potrebbe aver lavorato con il gateway di pagamento Bitpay, il "PayPal dei Bitcoin" per integrare i processi di incasso.


Sebbene nessuno degli interessati abbia formalmente annunciato la decisione, Microsoft ha inserito e (volutamente?) dimenticato chiare indicazioni nelle sue pagine di supporto ai pagamenti, rispondendo a quesiti del calibro di "Come faccio ad aggiungere Bitcoin al mio account Microsoft" oltre ad aver confermato di stare lavorando con Bitpay per integrare i Bitcoin. al fine di "dare più opzioni alle persone ed aiutarle a fare di più sui propri dispositivi e sul cloud”.


microsoft bitcoin informatblog Microsoft accetta Bitcoin Per Windows, Windows Phone e Xbox microsoft aziende  xbox one windows microsoft Bitcoin Secondo quanto si è appreso, i clienti potranno inizialmente utilizzare i Bitcoin solo per caricare denario in un portafoglio Microsoft o per generare buoni regalo  e non quindi per pagare direttamente prodotti o servizi utilizzando la valuta digitale. Sempre secondo i feedback degli utenti di Reddit, la funzionalità sempre al momento disponibile solo per i clienti americani.

Se il cammino di Microsoft è stato spesso stato lastricato di buone intenzioni e imperdonabili ritardi, le ultime mosse sembrano andare nella giusta direzione. La decisione di rendere disponibili gratuitamente le versioni base dei prodotti Office su smartphone e tablet e l'ingresso nel mondo delle cryptocurrency sono i primi segnali che la rotta di Nadella sta portando la barca nella giusta direzione.





giovedì 11 dicembre 2014

Quando si sta meglio dal vicino: i giovani svedesi migrano verso la Norvegia

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A fronte di un tasso di disoccupazione assolutamente accettabile (7,5% ad ottobre 2014) la Svezia si trova a fare i conti con la migrazione dei propri giovani alla ricerca di posti di lavoro nella vicina Norvegia.

Pensando alla disoccupazione in Italia, che con il suo 13,2% quasi doppia quello svedese, risulta ancora più incomprensibile questo fenomeno.

Cosa spinge quindi i giovani svedesi verso Oslo?

Una parte della risposta la si può trovare andando a considerare il tasso di disoccupazione giovanile,che a dispetto di quello generale, ha raggiunto il valore del 23%. Questo dato, contrapposto con il 7,5% del tasso generale è totalmente concorde con l'elevato tasso di occupazione delle persone che hanno raggiunto i 55 anni di età (72,3% contro il 37,9% rilevato in Italia).

La Norvegia non solo registra un invidiabile tasso di disoccupazione del 3,7%, ma garantisce inoltre una paga oraria più ricca del 50% rispetto alla vicina Svezia che per contro, come già trattato in un nostro articolo precedente, sta perseguendo una difficile lotta alla deflazione, che è una chiara nemica dell'occupazione.

Bisogna inoltre considerare che Oslo sta vivendo un periodo di boom industriale nel settore energetico che attrae soprattutto lavoratori non in possesso di avanzati titoli di studio.

Al momento, secondo il Centro Ragnar Frisch risultano occupati in Norvegia ben 28.000 giovani svedesi tra i 17 e i 25 anni che oltre al settore energetico trovano facilmente una occupazione in nella ristorazione, nel settore alberghiero e nei negozi di abbigliamento.

Gli imprenditori, per rispondere a chi critica la loro preferenza per i lavoratori provenienti oltre confine affermano che questi possiedono una maggiore determinazione e senso del lavoro.

Ovviamente questo flusso migratorio sul lungo termine porterà la Svezia ad un inevitabile bivio: adeguare il livello retributivo a quello della vicina Norvegia oppure cercare manodopera oltre confine.

Pensando alla triste situazione del mercato del lavoro nel nostro paese l'idea di emigrare verso la bella e fredda Stoccolma potrebbe non essere poi così malvagia.

martedì 9 dicembre 2014

Hacker:informazioni rubate per Insider Trading

Il tema della cyber security non è mai stato così attuale come in questo periodo. Criminali del cyberspazio sono stati scoperti nel collezionare informazioni sensibili di oltre 100 società quotate, tra cui società di consulenza per investimenti finanziari e studi legali, con l’obiettivo di ottenere dati riservati sulle transazioni in essere e future in tema di fusioni ed acquisizioni.

Lo schema implementato per raccogliere le informazioni ha una struttura complessa. Gli hacker avevano come target le email scambiate dai membri di diverse società, spesso manager e team di alto posizionamento, ricostruendo poi il quadro delle informazioni ricavate circa una possibile transazione. Per ogni evento di fusione o acquisizione sono state monitorate le comunicazioni di oltre cinque organizzazioni coinvolte. Questa struttura permette di venire a contatto con diverse fonti di informazioni sensibili, poiché solitamente gli attori coinvolti in eventi di finanza straordinaria sono molteplici.

Circa due terzi delle società target sono nel settore farmaceutico, con informazioni rubate riguardanti rimborsi governativi, brevetti, autorizzazioni dei trattamenti medici dei medicinali e possibili transazioni societarie future, tutti aspetti che influenzano gli andamenti dei prezzi azionari sui mercati dei capitali.

Le indagini sono state condotte da FireEye, società americana che offre servizi di cyber security di alta qualità. Un aspetto curioso è quello che il profilo degli hacker che si sta delineando riconduce ad un gruppo di persone estremamente educato e formato sui meccanismi borsistici di Wall Street, con alcune email intercettate in inglese nativo.

Il settore e la dinamica di questo tipo di evento è per il momento non frequente, però i dati sembrano confermare un aumento dei casi. Gli esperti di cyber security spiegano che in futuro è possibile una proliferazioni di minacce hacker volte a manipolare i mercati finanziari, poiché le società stanno investendo per potenziare i sistemi di sicurezza interni contro il furto di credenziali sensibili come delle carte di credito o conti correnti bancari.

FireEye avverte quindi i mercati dei capitali sugli scenari futuri e sulla necessità di alzare il livello di sicurezza, perché le conseguenze di fenomeni di questo tipo permetterebbero agli hacker di poter generare enormi quantità di denaro tramite insider trading e manipolazione dei prezzi azionari.

domenica 7 dicembre 2014

Uber - un caso da business school

uber-logo


Con moderato stupore qualche giorno fa mi sono soffermato su un articolo de "Il Sole24ore" (http://www.ilsole24ore.com/art/notizie/2014-12-04/miracolo-uber-ora-vale-41-miliardi-e-non-e-nemmeno-quotata-borsa-223044.shtml?uuid=AB1L5KMC) nel quale si racconta l'incredibile performance della società "Uber" che nell'arco di pochi anni avrebbe raggiunto una valutazione incredibile, ma teorica (il gruppo infatti non è quotato), di 41 miliardi di dollari. Cioè, come riporta sempre il Sole24ore, quanto lo storico gruppo di telecomunicazioni Time Warner Cable. E più di altri noti nomi della Corporate America vecchia e nuova del calibro della compagnia aerea Delta Airlines, del broker finanziario Charles Schwab, del re degli alimentari Kraft Foods e del colosso dei servizi di collocamento al lavoro Salesforce.com.


La società nasce da un' idea semplice ma geniale: fornire un servizio di trasporto viaggiatori unico e personalizzato (usufruendo anche di tutte quelle autovetture a noleggio che sempre più di frequente rimanevano ferme nel proprio deposito (1)), alla velocità della rete e con la comodità "mobile" (tutto viene gestito da un app sul proprio smartphone), con costi davvero competitivi (talmente competitivi da suscitare le ire e le rappresaglie dei tassisti di tutto il modo. In Italia in particolare le resistenze e le manifestazioni dei tassisti (vera e propria lobby) sono state particolarmente forti come aveva riportato lo stesso quotidiano a maggio dello scorso anno (http://www.ilsole24ore.com/art/notizie/2013-05-31/ezdriver-uber-taxi-171526.shtml?uuid=Ab3Ry50H).


L'elevata valutazione della società mi ha lasciato stupito: come è possibile che una società passi, in meno di 4 anni, da essere un'idea a diventare una realtà del valore di 41 miliardi di dollari? Non potrebbe essere un' eccessiva valutazione spinta da altri interessi? Tuttavia, lo stupore è stato solo moderato. Uber nasce veramente da un'idea semplice ma geniale. E' stata realizzata con intelligenza e si sta sviluppando in maniera oculata, rivoluzionando, nel suo ambito, il sistema del trasposto passeggeri in molte città del mondo. Ha aumentato la competizione in un settore troppo protetto e questo non può che fare bene ai cittadini e alla società intera, nonostante quello che possano pensare e sostenere i tassisti. E' vero loro hanno pagato una licenza per esercitare quella professione (però questo non vuol dire che debbano esercitarla in un regime di monopolio totale!). Inoltre, potevo pensarci loro a sviluppare una app che potesse offrire un servizio simile, migliorando l'efficienza del sistema "taxi", fornendo un servizio in più ai cittadini (quando serve un taxi non si trova mai!) e riducendo i costi delle corse che, qui in Italia, sono davvero troppo elevati (avete mai preso un taxi a Madrid?). l'innovazione (che io ammiro molto) aiuta a scoprire nuove vie. Sapere cavalcare lo sviluppo tecnologico, realizzando un' idea che evidentemente è andata a colmare un vuoto presente in molte città del molto, è una capacità che vale molto (non so se 41 miliardi di dollari, ma molto!).

E ora quali solo le prospettive di questa società? Come riportato sempre nello stesso articolo Uber vuole continuare a crescere, superando le resistenze di autorità e tassisti tradizionali, sui mercati globali. L'amministratore delegato Travis Kalanich ha indicato che la società non vuole fermarsi alla sua attuale presenza, 250 città in 50 paesi. In parte i fondi verranno tuttavia dedicati anche a migliorare i sistemi interni e la cultura aziendale.

 

(1) Uber offre vari servizi in tutto il mondo

  • UberX - L'opzione low cost di Uber, la corsa è effettuata su auto quotidiane.

  • UberTAXI - Il classico taxi in versione Uber.

  • UberBLACK - L'opzione "originaria" di Uber, la corsa avviene su una berlina.

  • UberSUV - L'autista sarà a bordo di un SUV.

  • UberLUX - La corsa avviene attraverso un'auto decisamente più elegante e costosa.


In italia, per ora, è attivo solo quello tradizionale UberBLACK.

 

Per farvi una vostra idea vedete anche:

https://www.uber.com/cities/milan

http://milano.repubblica.it/cronaca/2014/09/10/news/milano_il_tassista_passato_a_uber_ora_sono_pi_libero_e_guadagno_tremila_euro_al_mese-95420641/

http://www.allaguida.it/articolo/uber-e-uberpop-taxi-milano-cos-e-e-come-funziona-questo-nuovo-servizio/79455/

giovedì 4 dicembre 2014

Rientro capitali: a volte ritornano (le leggi)



A volte ritornano, capita spesso infatti a leggi e dibattiti parlamentari di tornare su argomenti di forte interesse per le dinamiche economiche e fiscali del sistema Italia. Uno di questi temi, sempre caldissimi, riguardo il rientro capitali dall'estero, la volunatry disclosure che, nell'idea del Governo, dovrebbe far emergere dal nero quei capitali sottratti al fisco e trasferiti all'estero da contribuenti italiani. Il testo definitivo manca ancora ma dopo la pubblicazione sulla Gazzetta Ufficiale il provvedimento sarà finalmente legge, dopo lo stop subito a causa del decadimento del governo Letta. Due i punti sensibili del nuovo testo sul rientro capitali rispetto alle precedenti versioni, il Sole24Ore li inquadra così:

"Il rimpatrio o l'emersione questa volta, a differenza dei tre scudi fiscali dello scorso decennio, non rappresentano un condono a tariffa forfettaria. I capitali ancora sotto accertamento (cioè non ancora prescritti fiscalmente) saranno assoggettati a tassazione integrale (generalmente il 43%, visti gli importi a 5, a 6 o più zeri in questione), con il riconoscimento di forti sconti solo sulle sanzioni per mancata dichiarazione fiscale (quasi sempre sotto la soglia del 3%). In aggiunta, si pagheranno comunque le tasse anche sui rendimenti annuali del capitale depositato all'estero. Ma, prima ancora, chi rimpatrierà o farà l'emersione questa volta dovrà farlo svelando il proprio nome ed esibendo tutti i documenti bancari e degli intermediari utili a ricostruire la storia, e i rendimenti, dell'investimento."

Pesanti le pene in caso di omessa o falsa dichiarazione, con condanne fino a sei anni di carcere.

Continua il sito del quotidiano:

"Chi aderirà alla nuova voluntary disclosure – e potrà farlo entro il 30 settembre dell'anno prossimo per violazioni commesse prima del 31 dicembre 2013 – oltre a non rispondere dei reati fiscali (a parte ipotesi di gravi condotte fraudolente, per le quali comunque la pena è diminuita) andrà immune anche dal nuovo illecito di autoriciclaggio, che può comportare un aumento di pena fino a 8 anni (4 se il reato all'origine del lavaggio non è particolarmente grave)."

Secondo il Governo, l'esenzione penale concessa in caso di disclosure dovrebbe rappresentare uno degli incentivi più forti per aderire al condono sul rientro capitali, considerando che entro il 2018, ma forse anche prima, la Svizzera, insieme ad altri paradisi fiscali, aderirà alla procedura di scambio automatico di informazioni fiscali e per il fisco sarà molto più facile individuare gli evasori.

Lo "scudo penale" sembra essere la vera moneta di scambio per il rientro capitali poichè dal punto di vista fisacle, con una tassazione secca del 45%, difficilmente si può definire incentivante la denuncia dei redditi elusi, tanto che il Governo stesso non ha prodotto stime precise sul gettito atteso.

I passati fallimenti in tema di condoni fiscali sul rientro capitali sono ormai letteratura e, con queste premesse, risulta difficile pensare che questo possa fare eccezione.

mercoledì 3 dicembre 2014

Qualunque cosa succeda - Giorgio Ambrosoli

 ok ga


La notte tra l’11 e il 12 luglio 1979, Giorgio Ambrosoli, all’epoca commissario liquidatore della Banca Privata Italiana, venne ucciso con un colpa d’arma da fuoco a Milano. La Rai lo ha ricordato con una fiction andata in onda lo scorso 1 e 2 dicembre in cui uno straordinario Pier Francesco Favino interpreta, con tutto il suo pathos, l’avvocato Ambrosoli.

Giorgio Ambrosoli era stato scelto, per le sue doti, per la sua onestà e per il suo senso di giustizia (ma soprattutto per via del suo essere poco conosciuto e non invischiato – termine che non potrebbe rendere meglio il senso dell’intreccio di poteri dietro questa vicenda – con i “poteri” forti della politica e della finanza di allora) come commissario liquidatore della Banca Privata Italiana, una delle più importanti banche dell’impero del finanziarie Michele Sindona.

Nell’ adempiere il suo compito l’avvocato Ambrosoli si imbatte in un sistema politico-finanziario corrotto e sleale, in cui nessuno sembra esserne estraneo, persino la chiesa con il suo IOR. Nel portare avanti le sue indagini, praticamente isolato, e dopo aver resistito alle molteplici e variegate pressioni per lasciar perdere, l’avvocato Ambrosoli viene freddato con un colpa di pistola, “lasciando 3 figli di giovane età, Francesca di 11 anni, Filippo di anni 10 e Umberto di anni 7 e la vedova signora Anna Lorenza Gorla”.
Questa storia rappresenta uno dei più tristi e cupi momenti per tutta la classe politico-economica italiana, e per tutta la società al tempo stesso. Una società, oggi come allora, accecata dal denaro e dal potere; e oggi come allora, prima responsabile.
La fiction mostra in maniera egregia soprattutto l’uomo che era Ambrosoli, il padre affettuoso e il marito premuroso che, per il solo fatto di voler compiere il suo lavoro nel migliore dei modi, ha messo in secondo piano i suoi più cari affetti per servire lo Stato, con un senso civico estremamente elevato, ed è stato ucciso da tutti noi. Ed è per questo che non possiamo smettere di parlarne e dobbiamo continuare a raccontare.

La visione della fiction mi ha fatto riprendere in mano il libro scritto dal figlio di Giorgio Ambrosoli, Umberto, e sul quale credo si sia basata la sceneggiatura. Penso che sia uno dei più importanti libri che un cittadino italiano o più semplicemente un uomo debba leggere.

Cari Giorgio, Annina e Martino,
vorrei raccontarvi una storia: una storia bella, emozionante e un po’ complicata, che forse potrà sembrarvi, nella sua conclusione triste e ingiustamente dolorosa. Eppure credo che quando l’avrete conosciuta per intera sarete orgogliosi di farne, in qualche modo parte.
E’ la storia di un uomo che – come tanti altri e come me, per esempio – conduceva una vita normale, aveva una bella famiglia che amava molto, come io amo voi, e un lavoro al quale si dedicava con passione e da cui traeva grandi soddisfazioni.
Un uomo che credeva nel significato e nel valore della propria libertà e responsabilità al punto di subordinare a queste anche tranquillità e sicurezza. Quest’uomo era mio papà, è lui il protagonista di questa storia: vostro nonno Giorgio. E per parlarvi di lui devo partire per forza dalla nostra casa di Ronco, che prima è stata casa sua e dei suoi genitori.



(dal libro Qualunque cosa succeda di Umberto Ambrosoli che io ringrazio di cuore per avere reso anche me, e tutti noi, intimamente parte di questa storia).

lunedì 1 dicembre 2014

Svizzera: no al referendum sull'oro

Nella giornata di ieri, domenica 30 novembre, la popolazione elvetica è stata chiamata a votare su un importate referendum composto da tre proposte distinte che hanno creato non poche preoccupazioni agli analisti economici e finanziari. Il referendum proponeva in primo luogo di limitare e possibilmente ridurre l’incremento della popolazione di nuovi immigrati su territorio svizzero, supportata da una motivazione prettamente ecologica. Il secondo tema proposto era di abolire forfait fiscali per i ricchi stranieri collegati con attività lavorative in svizzera. Il terzo aspetto, probabilmente il più delicato in termini di possibili impatti, indicava alla banca centrale elvetica di mantenere riserve auree almeno del 20% del proprio attivo, di non poter vendere tale riserve e che queste fossero depositate interamente in territorio svizzero.

I cittadini svizzeri hanno risposto con un segnale chiaro  molto forte. E’ arrivata una tripla bocciatura ai contenuti del referendum. I no hanno nettamente dominato con circa il 70%. La tendenza si è mostrata omogenea in tutte le aree elvetiche, con picchi nelle zone di Ginevra e Zurigo dove la bocciatura ha pesato per circa l’80%. Anche nel cantone Ticino, che storicamente risponde a referendum simili in tono molto conservativo, le iniziative pro riforme non hanno superato la soglia del 30%.

Come riportato da il Sole 24Ore, il no ha disteso le tensioni e allontanato implicazioni che avrebbero creato effetti potenzialmente destabilizzanti per l’economia elvetica. “Con una vittoria del sì, la Bns sarebbe stata costretta dunque a investire risorse ingenti per aumentare le riserve in lingotti. Il prezzo dell'oro avrebbe avuto probabilmente una spinta al rialzo. A quel punto inoltre la Bns probabilmente non avrebbe più avuto risorse sufficienti per difendere la soglia di cambio fissata per l'euro-franco (1,20 franchi per 1 euro) e la moneta svizzera avrebbe potuto apprezzarsi in modo eccessivo. A sostenere l'iniziativa “Salvate l'oro della Svizzera” erano alcuni esponenti dell'Udc, partito della destra populista. Il vertice dello stesso partito non era peraltro d'accordo. Tutti i principali partiti elvetici erano contrari”.

Lo schema quindi largamente condiviso dal governo e dal parlamento svizzero ha dominato largamente anche tra la popolazione. Il grado di autonomia della banca centrale svizzera non è stato intaccato e il prezzo dell’oro potrà seguire il suo corso senza essere influenzato da eventi esterni.