martedì 23 dicembre 2014

Sony: che la cyberguerra abbia inizio

Non è un film, ma potrebbe diventarlo. Di certo, l'attacco a Sony ha conquistato la scena di tutti i notiziari del mondo. Un fatto storico forse, un caso esplosivo. Si tratta di un attacco hacker senza precedenti per scala ed entità, probabilmente opera di un team di pirati informatici piu chè dalla mente di un singolo attaccante.

Tutto comincia a giugno, quando l'ambasciatore nordcoreano all'Onu denuncia e accusagli Stati Uniti in una lettera al segretario generale Ban Ki-Moon di sponsorizzare attraverso la trama di un film terrorismo e atti di guerra. Il film in questione è "The Interview", una produzione Sony dove i protagonisti, due giornalisti, sono assoldati dalla Cia per assassinare il leader nordcoreano. La protesta cade nel vuoto e il film rimane regolarmente programmato per Natale.

Il 24 novembre però, Sony si accorge di aver subito un pesantissimo attacco hacker. I dipendenti non riescono più ad accedere alla rete aziendale e su tutti i monitor compaiono scheletri e un messaggio "Hacked by GOP", ovvero "bucati" dai Guardiani della Pace. Più di tutto però, la società realizza che una grossa mole di dati riservati sono stati cancellati e che altrettanti contenuti segreti sono stati diffusi online.

La stima parla di circa 38 milioni di file resi pubblici, tra cui email, stipendi e perfino film ancora non usciti come "Still Alice", "Annie", "To Write Love on Her Arms" e "Fury".

A due giorni dall'attacco, "Fury", risultava scaricado da 880.000 diversi indirizzi ip.

Da lì in poi, il massacro non si è fermato. Decine e decine di "leaks" sono stati resi pubblici e ripresi dai media, fino ad arrivare ad email imbarazzanti scambiate tra i dirigenti dell'azienda dove si fanno commenti sulle stare Hollywoodiane e perfino sul presidente degli Stati Uniti Barack Obama, oltre a stipendi dei top manager e un piano antipirateria realizzato dalle major cinematografiche (che sembrano avere anche Google nel mirino).

La co-presidente di Sony Pictures, Amy Pascal, ha confermato che gli hacker hanno avuto accesso anche agli archivi degli ultimi 10 anni di posta elettronica dei dipendenti dell'azienda e a segreti industriali che riguardano anche altre aziende, come Snapchat.

Parte così la caccia ai banditi e la Corea del Nord viene chiamata in causa già il 29 novembre dal blog re/code che ricorda la lamentela di Pyongyang all'Onu con riferimento all'imminente uscita di The Interview, seppur gli  hacker non abbiamo mai menzionato nè rivendicato il film come motivazione alla base dell'attacco. Secondo Mashable i dirigenti Sony avrebbero ricevuto una mail che chiedeva un riscatto per evitare un "bombardamento" imminente.

Scende in campo anche l'Fbi che il primo dicembre afferma di stare investigando sul caso e qui, per la prima volta, fonti governative anonime sembrano confermare la pista nordcoreana. Accuse poi subito rispedite al mittente.

Seguono giorni confusi, in cui diventa difficile, se non impossibile, capire dove finisce la verità e dove inizia la finzione. Seguiranno infatti minacce più o meno firmate, rivendicazioni, negazioni, richieste di ritiro del film, informazioni mediche sui dipendenti Sony che a loro volta fanno causa alla società rivendicando un diritto alla privacy non sufficientemente tutelato.

Si arriva al 16 dicembre, quando i Guardiani della Pace pubblicano l'indirizzo e-mail del Ceo Michael Lynton e postano nuove minacce, evocando l'11 settembre, contro i cinema che decidessero di proiettare The Interview, scatenando il panico. Seppure il Dipartimento di Sicurezza americano abbia garantito che non esiste alcun elemento credibile riferibile ad un rischio concreto di attacco nei confronti dei cinema questo non ha evitato a Sony di essere accusata e criticata anche dagli stessi americani.

Il 19 dicembre, l'Fbi accusa ufficialmente il governo della Corea del Nord sulla base di elementi tecnici compatibili con precedenti attacchi orchestrati dal governo di Pyongyang.

Gli esperti informatici restano scettici e l'ombra della prima cyberguerra mondiale sembra così affacciarsi sul web, seppure Obama abbia negato, il 21 dicembre, che si sia trattato di un atto di guerra e gli attivisti digitali hanno già lanciato l'allarme per mettere in guardia dal rischio che questo evento sia usato dai governi per un nuovo giro di vite liberticida in tema di Rete.

Mettete i bit nei vostri cannoni.

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