venerdì 31 ottobre 2014

Le strategie opposte di Fed e Bank of Japan

Le banche centrali di Giappone e America hanno intrapreso percorsi opposti, supportate da situazioni economiche interne differenti. La BOJ ha lanciato a sorpresa un ulteriore allargamento della base monetaria, quantificata in un aumento di circa 30 miliardi di yen del proprio programma annuale di acquisto di bond governativi. L’azione di grande eco ed effetto economico, vuole contrastare efficacemente la deflazione che insiste nell’economia interna. Tale manovra si posiziona in direzione opposta rispetto al recente annuncio della Fed, che ha dichiarato basta con il Quantitative Easing e non ha escluso scenari dove l’aumento dei tassi di interesse possa concretizzarsi in un futuro prossimo.

La Fed ha voluto cambiare musica, mostrando un ritrovato carattere grintoso e brillante, sganciandosi dagli ultimi 14 mesi di rallentamento del tapering, calcolati da quando Bernanke ha annunciato nel 2013 uno scenario più accomodante. Il segnale è stato in primo luogo rivolto ai mercati, che sembravano nutrire il pensiero che i tassi di interesse sarebbero rimasti prossimi allo zero all’infinito. I dati economici americani sono tutt’altro che esilaranti ed evidenziano luci ed ombre.

I mercati, che in primo luogo hanno mostrato parecchio nervosismo con volumi di sell che non si registravano da parecchi mesi, hanno però recuperato velocemente, appunto influenzati anche dai dati Giapponesi. Gli effetti però non si limitano alle piazze azionarie. Il dollaro che sembrava indebolirsi, si è invece ulteriormente rafforzato. L’euro quindi sembra possa tirare delle boccate d’ossigeno, e questo input potrà attratte ingenti capitali verso Eurolandia, aiutando in modo concreto l’economia reale.

Gli effetti sul dollaro, sommati alla recente alleanza strategica degli Stati Uniti con i sauditi sul fronte petrolio, vengono amplificati nello scacchiere Russo. La Russia sta implementando azioni per liberarsi dallo strangolamento del dollaro, e promuove un proprio sistema sulle commodity energetiche usando il rublo al posto del dollaro. Come riportato da La Voce Della Russia: “Il progetto internazionale del commercio "senza dollaro" delle commodity energetiche ha cominciato a muovere i primi passi sulla base del "San Pietroburgo International Commodity Exchange" già da maggio 2014. L'idea chiave è la seguente: scollegare dal dollaro la parte enorme del mercato energetico mondiale che è in rapida crescita ed è tra le più promettenti al mondo, nella regione dell’Asia Pacifica e utilizzare lo yuan e il rublo. Le aziende statali russe si preparano affinché il costo aggiuntivo rimanga al loro interno. Oltre alla Cina, potenziali alleati della Russia sono India e Iran. La Russia a marzo ha proposto all’India una serie di importanti progetti nel settore del petrolio e del gas. L’Iran dal 2004 sta organizzando una borsa del petrolio indipendente dal dollaro”.

Tornando alle pressione del dollaro sull’economia russa, viene riportato: “Ad ottobre, durante il forum "La Russia Chiama" Vladimir Putin ha detto che il Paese intende passare attivamente alle valute nazionali nella regolamentazione delle reciproche transazioni con la Cina e gli altri partner. La Russia sta riducendo i propri investimenti in buoni del Tesoro USA e nei titoli delle banche americane e loro depositi già dalla primavera di quest'anno. Solo nel mese di marzo, dai conti della Fed sono stati portati via oltre 100 miliardi di dollari”.

La situazione schierata nello scacchiere economico sembra chiara e delineata, e gli Stati Uniti non nascondono la loro guerra alla Russia. Nel mese di settembre Josh Ernest, portavoce della Casa Bianca, ha dichiarato circa la svalutazione del rublo: “Il nostro obiettivo iniziale era quello di isolare la Russia e costringerla a pagare un prezzo economico”.

mercoledì 29 ottobre 2014

La Svezia alle prese con la deflazione

stefan_ingves

Nonostante lo stato svedese non abbia aderito alla moneta unica europea soffre di uno dei suoi stessi mali: la deflazione.

Questa situazione è stata la conseguenza della politica monetaria restrittiva sostenuta dalla Riskbank negli ultimi anni. Le scelte della banca centrale svedese hanno ricevuto critiche non solo dal governo dello stesso paese, ma anche dal vincitore del Premio Nobel per l'economia del 2008, tale Paul Krugman.

Proprio in un suo articolo di questa estate Krugman definisce la politica monetaria svedese come affetta da "sadomonetarismo", criticando la scelta di alzare i tassi di fronte ad un basso tasso di inflazione a scopo preventivo, al fine di poter contrastare un futuro "incremento inflattivo" che avrebbe potuto mettere in crisi la stabilità economica del paese, come indicato a suo tempo da Stefan Ingves, governatore della Riksbank.

Secondo molti economisti il tentativo di perseguire gli obiettivi di stabilità finanziaria e di mantenere stabile l'inflazione con un unico strumento (i tassi di interesse) è stato il grande errore commesso dalla autorità bancaria svedese.

Tuttavia questa politica non ha avuto gli effetti sperati, infatti questa ha condotto una delle economie più solide del mondo in una pericolosa spirale deflattiva (a settembre 2014 il tasso di inflazione svedese registrava il valore di -0,4%).

Al fine di porre fine a questa discesa del tasso di inflazione la banca centrale ha deciso di invertire la rotta a dicembre dello scorso anno, riducendo il tasso di riferimento dall'1% allo 0,75%.

Al taglio di dicembre ne sono seguiti altri altri due, uno a luglio (dallo 0,75% allo 0,25%) ed uno nel mese appena terminato (dallo 0,25% allo 0%) con lo scopo di sostenere la risalita dei prezzi.

L'eccessiva prudenza del paese scandinavo, che ha portato la Svezia ad una sorta di deflazione tecnica, dalla quale la Riksbank sta cercando di sfuggire per evitare di mettere in crisi l'intero sistema economico nazionale.

sabato 25 ottobre 2014

STRESS TEST: ITALIA SOTTO PRESSIONE

La Banca d’Italia non ha tardato nell’esporre le proprie perplessità e critiche verso i parametri utilizzati nei recenti stress test della BCE. Il risultato emerso sul sistema bancario italiano sembra essere severo, con 9 istituti bocciati con carenze di capitale.

Lo scopo di tale indagine tecnica, che ha impegnato notevoli sforzi delle istituzioni europee, risiede nel fare luce sulla salute del sistema bancario che ha creato e crea un certo grado di incertezza nell’economia. L’annuncio dei risultati è l’ultimo atto di oltre un anno di lavoro intenso costato centinaia di milioni di euro coinvolgendo migliaia di ufficiali e tecnici.

Nello scenario europeo, il fallimento più consistente ha riguardato la Banca Monte dei Paschi di Siena, che ha già iniziato procedure di consulenza con collaborazioni con Citigroup e il colosso svizzero UBS. Il settore bancario tedesco si è mostrato molto solido con solamente una bocciatura tecnica, mentre la Spagna non ha avuto alcun fallimento negli stress test. Il quadro generale europeo vede 25 banche con parametri negativi che, senza considerare la manovra di aumento di capitale durante il 2014, si quantifica in €24.6bn di carenze di liquidità. In queste cifre, si deve considerare che molte delle bocciature sono di natura tecnica, poiché molti istituti finanziari hanno comunque aumentato il capitale da investitori solo in un momento successivo a dicembre 2013, data limite del perimetro delle analisi.

In breve, gli stress test hanno incuso delle review di qualità degli asset a bilancio, così come test tecnici per dimostrare l’abilità della banca (livelli di liquidità) nell’affrontare scenari economici in peggioramento come ad esempio l’aumento del tasso di disoccupazione o il crollo dei prezzi delle abitazioni.

Gli investitori hanno espresso un certo ottimismo sui recenti risultati indicando questa delicata fase come possibile punto di svolta economico. I mercati dovrebbero quindi reagire positivamente, seppur la pressione sul sistema Italia sarà inevitabile. Usando una metafora di Philippe Bodereau, direttore globale del dipartimento di ricerca finanziaria in Pimco, “alcune delle più deboli banche nel sistema si stanno muovendo dall’ospedale verso la fase di riabilitazione”.

Un’altra voce di spicco è quella di Davide Serra, fondatore dell’ edge fund Algebris Investments: “Ora siamo a conoscenza del fatto che l’eurozona potrebbe subire una contrazione del 5% e le banche avranno ancora più dell’8% del capitale, indice molto positivo per il settore”.

Dopo gli aumenti di capitale del 2014, circa 13 istituti bancari mantengono la necessità di ristrutturare le proprie finanze e 4 di questi sono nel perimetro italiano. Gli ufficiali italiani hanno però dato evidenza al fatto che le banche sul territorio non hanno ricevuto l’assistenza dai governi che invece è stata concessa in altri paesi. Fabio Panetta, vice direttore di Banca d’Italia, indica i risultati come “non sorprendenti” poiché sarebbe stato impensabile credere che il settore bancario non stesse soffrendo degli effetti di 5 anni di recessione economica.

giovedì 23 ottobre 2014

La disoccupazione in Spagna ai minimi dal 2011

europaspagnadisoccupazione

Mentre la maggior parte dei paesi dell'Eurozona, compresa l'Italia, deve fare i conti con la costante ed inesorabile crescita del tasso di disoccupazione ecco che qualcuno finalmente ricomincia ad ingranare. Nell'ultimo trimestre l'Istituto Nacional de Estadistica ha rilevato un calo di quasi un punto percentuale nel tasso di disoccupazione nazionale che è passato dal 24.5% della rilevazione precedente al 23.7%.

Il trend positivo dell'economia iberica viene confermato anche dalla crescita di mezzo punto percentuale del Prodotto Interno Lordo, che su base annua, tra luglio e settembre ha avuto un aumento di più dell'1%.

La diminuzione della disoccupazione è stata trainata dall'aumento occupazionale in tre dei quattro settori principali dell'economia spagnola, quali servizi, industria e costruzioni. Al contrario il  settore primario, quello agricolo, registra una diminuzione occupazionale, in contrasto con i tre settori sopracitati.

Come riferito da IlSole24Ore nell'articolo "La Spagna continua a crescere e la disoccupazione è ai minimi dal 2011"  di Luca Veronese, nella nazione iberica si è visto un incremento di occupati di 151.000 unità distribuiti in questo modo: 108.800 nel settore dei servizi, 43.500 nel settore delle costruzioni e 71.800 in quello industriale.

I dati sembrano quindi indicare che a piccoli passi l'economia spagnola sia in direzione di ripresa (il Pil registra valori positivi da cinque trimestri consecutivi), anche se bisogna ricordare che al momento attuale nel paese governato da Rajoy ci sono ancora più di 5 milioni di disoccupati ed il lavoro da fare è ancora molto

Tuttavia, dato che negli ultimi anni siamo stati abituati a valori negativi, questo risultato lascia ben sperare.

Nonostante l'ottimismo di Luis Maria Linde, attuale presidente del Banco de España, resta da capire se le difficoltà del sistema economico dell'Unione Europea non porrà freno al recupero iberico.

Di fronte al risultato dell'ultimo trimestre spagnolo viene lecito chiedersi quando questo toccherà all'Italia.

Riuscirà il governo guidato da Matteo Renzi, con l'ormai famoso Job Acts, a risollevare le sorti occupazionali del Belpaese?

martedì 21 ottobre 2014

Anche l'economia tedesca scricchiola: il governo rivede le previsioni al ribasso

1398535709-un-viaggio-in-autobus-con-angela-merkel

Chi è causa del suo mal pianga s'è stesso, così dice il famoso detto. Le politiche di austerità promosse dall'Unione Europea su pressione del governo guidato da Angel Merkel sembrano cominciare ad avere effetti negativi anche sull'economia teutonica.

La Germania, che fino ad ora è sempre stata considerata l'esempio di solidità a cui tutti i paesi europei dovrebbero ambire(lo spread è appunto calcolato rispetto al  rendimento del BUND), mostra qualche segno di logoramento.

Giusto pochi giorni fa il governo tedesco ha rivisto al ribasso le previsioni di crescita del PIL per il 2014 passando da un valore di 1,8% ad un valore di 1,2% (-0,6%).

Nonostante ciò Wolfgang Schäuble, attuale ministro delle finanze, ha anticipato in un suo discorso che per l'anno prossimo il valore delle entrate e delle uscite del bilancio tedesco si eguaglieranno.

Quest'anno invece, come indicato nel bilancio appena presentato, si chiuderà con un disavanzo di soli sei miliardi e mezzo di euro.

Questa revisione è stata determinata dal calo della domanda estera di prodotti provenienti dalla Germania la cui economia è strettamente legata alle sue esportazioni (si pensi che più della metà del Pil tedesco deriva dalle esportazioni nell'area UE).

Ad Agosto c.a. per esempio, come scritto da Chris Bryant nel suo articolo sul quotidiano inglese Financial Times, la domanda di prodotti tedeschi d'esportazione ha subito un crollo dell'8,4% accompagnato dal calo di 8,5 punti percentuali della domanda di prodotti finanziari.

Cosa ha portato a questo calo nelle esportazioni?

Le politiche di austerity implementate  e il fenomeno deflattivo nella zona Euro  non hanno solo indebolito i paesi coinvolti che di conseguenza hanno meno capitale da investire nelle esportazioni ma hanno fatto anche aumentare il livello generale di sfiducia.

A questi si aggiungono i timori legati alla situazione della crisi ucraina, le sanzioni nei confronti della Russia ed il rallentamento dell'economia cinese (due tra i più importanti partner commerciali della Germania).

Come è ovvio che sia, una economia caratterizzata da un surplus commerciale come quella teutonica è molto vulnerabile alla crisi della domanda estera.

Queste difficoltà faranno cambiare idea al governo tedesco oppure la cancelliera Merkel abbandonerà la strada del rigore?

sabato 18 ottobre 2014

Bitcoin, la moneta virtual arriva nel bancomat

Per capire il fenomeno Bitcoin, ormai, non serve più nemmeno affacciarsi oltreoceano. La rivoluzione Bitcoin è realtà anche in Italia. Tra gli ultimi a raccontarla, un interessante articolo di Repubblica:

"CI SI può ormai pagare di tutto. Dal barbiere al caffè. Piano piano bitcoin, la criptovaluta virtuale creata da Satoshi Nakamoto, sta sgranocchiando sempre più fette di mercato reale. Si moltiplicano i negozi che l'accettano, per trovarli basta andare su CoinMap.org o scaricare l'androidiana QuiBitcoin, dedicata al nostro Paese. Così come i modi per acquistarla velocemente. Sono conosciuti come Bancomat, Atm, o vending machine. Sintetizzando: sono degli oggetti che scambiano euro, o altre valute, in bitcoin. Seguono dinamiche a volte diverse, ma hanno un obiettivo comune: diffondere la tecnologia. Usandoli, anche chi non ha particolari competenze informatiche, può ottenere moneta matematica. Basta scaricare un'app, a volte seguire un processo di autenticazione, inserire banconota et voilà, il gioco è fatto. Tutto in meno di dieci minuti. Senza dover seguire la trafila, spesso farraginosa, che impone la registrazione su una delle tante piattaforme di exchange presenti online. E che richiede tempi più o meno lunghi.
Atm, bancomat o vending machine: il bitcoin si acquista in 10 minuti"

A leggere di filata, la storia fa quasi paura.

"Il primo ha fatto la sua comparsa a Vancouver, in Canada, dentro a un coffee shop. Un negozio di dischi, nella stazione di Helsinki, in Finlandia, è stata la prima tappa europea. Nel mondo, al momento, se ne contano circa 200. Cinque le principali aziende che si spartiscono il grosso del mercato: Lamassu, Robocoin, Bitaccess, Skyhook e Genesis1. In Italia, invece, sono cinque le macchine del genere censite su Coinatmradar, la cartina consultabile sulla rete che permette di trovare questo tipo di Atm ovunque. Più una è in arrivo a Milano."

Il primo Bancomat Bitcoin e' gestito da due ragazzi emiliani:

"Inaugurato il sei settembre scorso, adesso è guasto, ma - assicurano - sarà riparato a breve. A gestirlo sono due ragazzi: Marco Argentieri e Fabio Guercio, di 19 e 22 anni. Un anno fa hanno dato vita a ReggioBit per promuovere la criptovaluta nel loro territorio. Prima scambiavano i bitcoin di persona, incontrando gli acquirenti, con cui prendevano appuntamento tramite il loro sito. Poi, con il supporto di un'azienda londinese, Bitroad, sono riusciti ad aver in concessione uno Skyhook: una sorta di Atm portatile dal software open source. E ad automatizzare il processo. Racconta Argentieri: "Dal denaro scambiato tratteniamo il dieci per cento che ripartiamo con il negozio e Bitroad. Tutto ciò che posso dirti è che il primo giorno abbiamo superato le dieci operazioni, la stessa quantità che di persona facevamo in un anno. Un piccolo successo. Per noi è stata soprattutto un'operazione di marketing, vogliamo far conoscere la criptovaluta a livello locale. Abbiamo persino fatto una campagna di volantinaggio. Se fossimo in Silicon Valley sarebbe diverso, c'è una mentalità più orientata verso l'high tech. Qui se non fai comunità, se non informi, sarebbe un investimento quasi buttato all'aria. C'è poca domanda intrinseca. L'Italia è lentissima ad adottare le nuove tecnologie"."

Ma la vera domanda è se è quanto potrà durare, visto che molto del traffico di Bitcoin è oggi possibile grazie alle politiche di deregulation applicate dalla maggior parte direi governi nei confronti della valuta virtuale:

"Deregulation. Certo, la mancanza di direttive non è solo un problema italiano. La criptovaluta virtuale è un fenomeno del tutto nuovo e, come tale, ha messo in crisi i legislatori del mondo. In Russia sono vietati. La Banca Centrale cinese ne ha bandito l'uso all'interno delle istituzioni e nei sistemi bancari registrati, ma non tra privati. In Canada sono accettati e tassati, nello stato di New York è al vaglio un disegno di legge, la Germania li ha classificati come una moneta privata. Un vero far west. In Italia lo stato dell'arte ce lo sintetizza l'avvocato Lodovico Artoni, membro del board di CashlessWay, l'associazione nata per promuovere i pagamenti digitali. "Il governo", riassume, "non sta facendo nulla. C'è un vero buco normativo. Il problema è a monte. Come possiamo classificare i bitcoin? È la prima domanda che dobbiamo porci. Se li consideriamo una valuta, gli Atm dovranno essere paragonati a dei cambia valute e sottostare a delle leggi particolari. Se li consideriamo un oggetto, invece, saranno equiparabili a delle semplici vending machine, cioè a quelle macchinette in cui inseriamo degli euro. Per, in cambio, ricevere bottiglie d'acqua. In questo caso, però, si tratterebbe di un'attività commerciale e andrebbe applicata l'Iva"."

Con on buona pace del fisco e della trasparenza finanziaria...

"Nel frattempo vige l'anarchia. O, meglio, ognuno si regolamenta come crede. Nessuno dei servizi da noi contatti ha ancora adottato delle misure fiscali. Alcuni identificano gli utenti, altri no. Mentre tutti non accettano transazioni in contanti superiori ai mille euro, nel rispetto della legge entrata in vigore dal 1 gennaio 2012 volta a contrastare il riciclaggio. Federico Pecoraro, con la sua Robocoin, la sola in grado di convertire euro in bitcoin ma anche bitcoin in euro, assicura di rispettare le direttive internazionali. La macchina propone un sistema di autenticazione basato su quattro step. Tra cui il riconoscimento della vena vascolare palmare che lui definisce "la password più sicura al mondo". Posizionata a Roma, nella Stazione Termini, Robocoin Kiosk è l'Atm che lavora di più, stando alle stime che ha fornito Pecoraro: mille euro di criptovaluta scambiati al giorno, ma solo il 2 per cento di operazioni inverse. "Basta spacciatori di Bitcoin", è il suo appello. "Serve una regolamentazione, ma ad hoc: i piani finanziari attuali non sono per nulla conformi a questa nuova tecnologia. Si dovrebbero riscrivere"."

venerdì 17 ottobre 2014

Ritorna la volatilità sui mercati (?)

Negli ultimi tre giorni si è verificato un forte incremento della volatilità sui mercati finanziari. Mercoledì e giovedì abbiamo assistito a un tonfo di tutte le borse europee, trainate al ribasso dai rinnovati timori legati alla situazione greca. E non è andata meglio oltre oceano.

Le motivazioni sono molteplici e vanno contestualizzate in un quadro macroeconomico tutt’altro che positivo. In Europa, nonostante tutte le stime (e le relative rettifiche al ribasso), l’economia stenta a ripartire: la crescita non si vede se non con il binocolo. Ci troviamo in una stagnazione molto preoccupante, con un tasso di inflazione allo 0,3% annuo, ben al di sotto di quel 2% che garantirebbe quella stabilità dei prezzi propedeutica a una crescita armoniosa e sostenibile nell’area dell’euro. Negli Stati Uniti, aumentano i timori per un andamento dell’economia più debole del previsto, come emerso nelle ultime minute pubblicate dalla FED a da alcuni recenti dati inferiori alle aspettative. Questo potrebbe indurre il FOMC (l’organo decisionale dalla FED) a posticipare la fine del programma di acquisto di titoli (ridotto a 15 miliardi lo scorso mese) che il mercato stima possibile già nella prossima riunione del 28-29 ottobre. Peraltro, oggi, l’indice di fiducia dei consumatori elaborato dall’Università del Michigan (stima preliminare relativa al mese di ottobre) ha segnato un inatteso, ma incoraggiante, aumento raggiungendo i livelli più elevati dal lontano 2007. Infine, anche l’economia cinese mostra dei segnali non incoraggianti: a settembre il tasso di inflazione è stato pari all’1,6% annuo (minimo da 18 mesi), diminuendo dal 2% del mese precedente e restando ben al di sotto degli obiettivi del governo di Pechino (pari al 3,5%). Per questo motivo la People Bank ok China sta studiando nuove misure di stimolo monetario, con un occhio al settore immobiliare alle prese con una possibile bolla.

In questo quadro tutt’altro che roseo si sono insinuate due ulteriori problematiche: i timori legati alla situazione greca e il forte calo del prezzo del petrolio (per un’analisi più completa si veda http://ecofinanziario.com/2014/10/gli-impatti-crollo-petrolio/). A far tornare la Grecia alla ribalta delle cronache finanziarie è stata la diffusione di un report dell’agenzia Fitch sullo stato di salute delle banche greche, che ne evidenzia i problemi strutturali e la necessità di nuove e considerevoli ricapitalizzazioni. Secondo l'agenzia di rating i risultati del comprehensive assessment, che la BCE renderà pubblico il 26 ottobre, potrebbe evidenziare significative carenze di capitale, visto che la quota dei crediti deteriorati arriva a quasi la metà degli impieghi dei due principali istituti di credito del paese, la Banca Nazionale di Grecia e Alfa Bank. Inoltre, ai timori sulla situazione greca hanno contribuito anche le preoccupazioni e l’incertezza politica legata al piano del governo greco per uscire dal controllo della Troika, che potrebbe portare ad elezioni anticipate e all’abbandono delle misure di austerità e a problemi di finanziamento sui mercati.

Il verificarsi di tali eventi si è riflesso nei mercati finanziari, aumentandone la volatilità su tutti i comparti. Oggi le borse hanno rimbalzato e gli spread dei periferici vs i bund si sono ridotti. Ma il problema quindi qual è? Il punto è che questa elevata volatilità dei prezzi (riflessa anche nell’aumento dell’indice VIX) e di una crescente incertezza sui mercato rappresentano  un ulteriore fattore di stress che rischia di accompagnarci nei prossimi giorni e forse nelle prossime settimane; sperando che la pubblicazione dei risultati del comprehensive assessment della BCE  contribuisca a restaurare una maggiore fiducia sui mercati e non diventi un altro fattore di tensione.

mercoledì 15 ottobre 2014

Gli impatti del crollo del petrolio

Il prezzo del petrolio intorno agli 80$ al barile potrebbe generare effetti sul programma di QE americano. Il crollo del prezzo è nella misura del 20% in un periodo di riferimento molto contenuto, da metà giugno ad oggi. Diversi economisti stanno elevando delle domande che trasmettono alcune preoccupazioni. Che livello minimo potrà raggiungere il prezzo ? Con possibili fenomeni di “rimbalzo”, su quale soglia potrà stabilizzarsi ? L’ Opec e l’Arabia Saudia decideranno di contenere la produzione ?

Ma vediamo nel dettaglio chi viene influenzato dalla situazione in essere. I “perdenti” sono sicuramente i produttori, i paesi e i governi. Su un prezzo stabile di 80$, i paesi dell’Opec potrebbero perdere un valore complessivo di circa $200bn del loro recente $1tn di guadagno, colpendo la loro capacità di accantonare abbastanza da poter coprire i debiti sovrani senza scatenare rischi di default.

Dall’altro lato, più in generale, l’economia mondiale potrà giovare dell’equivalente di un ingente programma quantitativo per creare ossigeno, aiutando una crescita economica che sembra mantenersi in stallo. Il crollo del prezzo del petrolio potrebbe generare effetti positivi dell’entità di circa $660bn annualizzati. Questo avrebbe effetti sui risparmi di tutti gli individui nei paesi Opec.

Il prezzo del petrolio è in sofferenza a causa di diversi fattori: parte del declino è attribuibile al sentiment del mercato, un’altra parte ai fondamentali di mercato e in una misura più ampia dallo scenario geopolitico globale. Come esempio di dettaglio, è attuale un’enorme crescita dell’output di petrolio americano. La produzione mostra costi sempre più bassi anno dopo anno e i costi di break-even stanno raggiungendo livelli sempre più bassi di quanto comunemente immaginato, sicuramente inferiori a $75 per barile.

Dal punto di vista dei fondamentali, l’economia globale è debole e la domanda di petrolio è piatta o in lieve aumento ad un tasso stimabile inferiore al 1m b/d. Qualunque proiezione dell’incremento dell’attività economica e della domanda per il 2015 lascerebbe tali livelli su posizioni prossime, e questo risulterebbe ancor più pesante se i paesi dell’Opec non dovessere prendere la decisione di tagliare la produzione.

Queste riflessioni possono essere prese in seria considerazione? Solamente il tempo e probabilmente il prossimo meeting Opec di novembre potranno dirlo. Se i prezzi continueranno a scendere, i produttori americani saranno messi duramente alla prova e si scoprirà se riusciranno a resistere a tali pressioni più di quanto è comunemente stimato.

lunedì 13 ottobre 2014

Come stai? Risponde Google



Come stai? Risponde Google.

E' un tema caldo quello dell'e-health e le recenti notizie dimostrano un interesse sempre crescente da parte dei colossi del web verso un mercato che assumerà nei prossimi anni un importanza cruciale e genererà, nel breve, ricavi per decine di milioni di dollari.

Dopo la release di iOS8, l'ultima versione del sistema operativo per smartphone e tablet lanciato a settembre dalla Apple che ha visto per la prima volta incorporare nei prodotti della casa di Cupertino un applicativo volto ad interrogare ed intepretare  i dati sanitari inviati da sensori compatibili al fine di fornire analisi dettagliate e suggerimenti realtivi alla salute degli utenti, anche Google ha deciso di mostrare le sue carte.

Ne parla oggi PuntoInformatico, evidenziando come, in sordina, il colosso di Mountain View stia integrando servizi avanzati di consulenza santiaria nei risultati di ricerca:

"[Google, ndr] per riuscire nel proprio intento ha scelto di sfruttare un servizio lanciato ormai un anno fa, assecondando la tendenza degli utenti a rivolgersi alla Rete per tentare di documentarsi sul proprio stato di salute."


Come?

"Mountain View ha infatti ripreso Helpouts, la piattaforma inaugurata nel 2013 per fornire assistenza in tempo reale, basata sulla consulenza (rigorosamente a pagamento tramite Google Wallet) di professionisti del settore via videochat: mentre finora i consulenti online erano accessibili tramite una pagina Google+ ad hoc, ora i link al servizio cominciano ad essere mostrati anche accanto ai risultati ordinari di una ricerca."


Una mossa importante quindi, in un mercato in forte crescita e, anche se manca ancora un annuncio ufficiale, un portavoce della società ha confermato che l'azienda sta lavorando ad un sistema che possa garantire "informazioni più utili" all'utente che ricerchi argomenti correlati al proprio stato di salute.


"L'interesse di Google per la telemedicina è evidente: la prima testimonianza di uso del servizio riguarda proprio l'offerta, tra i risultati di ricerca per la query "dolori al ginocchio", di un medico in diretta webcam."


sabato 11 ottobre 2014

Le difficoltà della fragile economia russa

arton21745

Il Fondo Monetario Internazionale ha recentemente rivisto al ribasso  le sue stime sulla crescita del PIL mondiale nel 2014 (dal 3,4% al 3,3%)  e 2015 (dal 4% al 3,8%). Questa revisione è stata conseguenza dei pessimi risultati delle economie del Giappone, del Medio Oriente, dell'Unione Europea e della Russia.

In particolare il paese guidato da Vladimir Putin sta attraversando un momento molto difficile non solo dal punto di vista diplomatico a causa della crisi ucraina, ma anche da quello economico.

Le esportazioni di materie prime quali gas e petrolio non sembrano più in grado di sostenere l'economia russa.

Ma quali sono i motivi che hanno portato la crescita russa vicina allo zero?

Le sanzioni del mondo occidentale  verso Mosca hanno causato una riduzione delle esportazioni, dell'accesso al credito internazionale ed a conseguenti fughe di capitali.  Adobe, nota società operante nell'IT (chiunque abbia avuto a che fare con un computer avrà utilizzato il famoso Reader per visualizzare i file PDF), ha deciso di lasciare il paese. Stessa sorte toccherà a numerose testate giornalistiche straniere presenti in Russia con edizioni locali, come  Forbes, che seguiranno la casa di produzione di software  a causa della nuova norma che comporta una limitazione nelle quote straniere nei mezzi di comunicazione.

I difficili rapporti diplomatici hanno inoltre portato il governo ad incrementare il budget destinato alla difesa, utilizzando risorse che altrimenti sarebbero state utili a rilanciare l'economia nazionale.

Il calo del prezzo del petrolio  (al di sotto dei 90 dollari al barile) non ha fatto altro che  aumentare le difficoltà dell'economia russa. Infatti, come riporta la rivista inglese The Economist, una riduzione di un dollaro del prezzo al barile  porta un danno di circa 2.3 miliardi di dollari al paese governato da Putin. C'è chi pensa che dietro la caduta del prezzo del petrolio ci sia la lunga mano degli Stati Uniti che, dopo la crisi ucraina, sono tra i più determinati sostenitori delle sanzioni.

Riuscirà Vladimir Putin a risollevare le sorti della sofferente economia della nazione russa e a fermare la frenata della crescita?

giovedì 9 ottobre 2014

La prima TLTRO: è stata un fallimento?

euro-symbol

Nell’ultimo bollettino mensile della BCE (https://www.ecb.europa.eu/pub/pdf/mobu/mb201410en.pdf) sono illustrati in maniera dettagliata i risultati della prima delle aste di rifinanziamento a più lungo termine mirate a fornire credito all’economia reale (meglio note come Targeted Longer-Term Refinancing Operations –TLTROs).

Queste operazioni rappresentano il fulcro del pacchetto di misure annunciate dalla BCE lo scorso 4 giugno che comprende: la riduzione dei tassi ufficiali, con il tasso sulla deposit facility in territorio negativo per la prima volta nella storia della BCE; la sospensione dell’operazione di assorbimento della liquidità immessa con il Securities Markets Programme, che ha determinato l’immissione di circa 110 miliardi di euro nel sistema; la sospensione dell’operazione di rifinanziamento con durata pari al periodo di mantenimento; il prolungamento della procedura di full allotment a tasso fisso nella aste di rifinanziamento condotte dall’Eurosistema.

Le operazioni TLTROs costituiscono, insieme ai programmi di acquisto di ABS e di Covered bond annunciati a settembre, il principale strumento per realizzare quell’espansione del bilancio dell’Eurosistema più volte citata dal presidente Draghi (riportare il bilancio alle dimensioni dell’inizio del 2012) e che permetterà di inondare il sistema bancario europeo di una quantità immensa di liquidità che, a differenza delle due operazioni triennali di fine 2011 e inizio 2012, sarà indirizzata a riattivare il canale  del credito all’economia reale. O almeno così ci si augura.

Richiamiamo brevemente il funzionamento di tali operazioni come descritto nel bollettino economico della Banca d’Italia dello scorso luglio (https://www.bancaditalia.it/pubblicazioni/econo/bollec/2014/bolleco3/bollec3/boleco_3_2014.pdf).

Nell’ambito delle TLTROs, alle controparti viene assegnato un plafond iniziale pari al 7 per cento dell’ammontare totale dei prestiti erogati al settore privato non finanziario dell’area dell’euro in essere al 30 aprile 2014 (esclusi i prestiti a favore delle famiglie per l’acquisto di abitazioni). L’ammontare massimo di liquidità erogabile sarà quindi pari a circa 400 miliardi di euro per le banche dell’area dell’euro di cui 70 per quelle italiane. Tale plafond iniziale può essere usato nelle prime due operazioni, programmate rispettivamente per settembre e per dicembre 2014. Gli istituti di credito potranno accedere alle operazioni mirate di rifinanziamento a condizioni molto vantaggiose (il tasso di interesse, fisso per la durata del finanziamento, sarà pari a quello sulle operazioni di rifinanziamento principali in essere al momento dell’erogazione maggiorato di 10 punti base). Tuttavia, tale finanziamento è subordinato all’espansione del credito a imprese e famiglie in relazione a un benchmark specifico per ogni banca. Da marzo del 2015 a giugno del 2016, sarà possibile un ulteriore ricorso, pari per ciascuna banca a tre volte il credito erogato in eccedenza rispetto al benchmark. Le banche che, nel periodo tra maggio del 2014 e aprile del 2016, registreranno una crescita dei prestiti non superiore al benchmark dovranno rimborsare anticipatamente i finanziamenti a settembre del 2016.

 

Con la prima operazione, condotta lo scorso 18 settembre, sono stati assegnati complessivamente 82,6 miliardi di euro a 255 soggetti per una liquidità netta (ossia al netto del regolamento di altre operazioni dell’Eurosistema – rifinanziamento principale e rimborsi delle aste triennali regolati nella stessa giornata) immessa pari a 47,9 miliardi di euro. La maggior parte delle banche partecipanti alla prima TLTRO si è aggiudicata una percentuale compresa tra il 90% e il 100% del proprio plafond iniziale, corrispondente a poco meno di 30 miliardi.

Da molto commentatori e analisti tale risultato non è stato all'altezza delle aspettative (http://www.zerohedge.com/news/2014-09-18/ecbs-first-tltro-failure-european-banks-take-less-free-ecb-loans-worst-case-expectat). Come valutare quindi l'esito di questa prima operazione?

Un’analisi completa delle richieste del sistema bancario potrà essere effettuata solo quando sarà noto l’importo complessivamente richiesto - e aggiudicato - anche in relazione al valore del plafond effettivamente disponibile per tutti i soggetti partecipanti. Tale dato sarà disponibile solo con la seconda asta di dicembre dato che le banche che non hanno preso parte alla prima potranno farlo alla seconda operazione.

Tuttavia, fin da ora è possibile fare almeno una considerazione. Oltre 130 banche che si erano accreditate per la partecipazione a tali operazioni non hanno presentato richieste di fondi a settembre e attenderanno probabilmente dicembre. Per quale motivo una banca avrebbe più interesse a prendere parte all’operazione di dicembre rispetto a quella di settembre?

Da una parte per la banche che hanno partecipato a settembre avrebbero prevalso considerazioni di carattere reddituale/finanziario. Si trattava di “banche che detenevano consistenze più cospicue di obbligazioni a lungo termine con scadenza antecedente la TLTRO di dicembre” per le quali la TLTRO offriva fin da subito “condizioni più attraenti […] rispetto a fonti di provvista di mercato con analoghe scadenze a quattro anni”.

Dall’altra parte le banche che hanno deciso di attendere l’operazione di dicembre avranno una più chiara situazione delle loro prospettive di business (potenziali impieghi e fonti di finanziamento) e, soprattutto, saranno a conoscenza dei risultati del comprehensive assessment  che la BCE pubblicherà il prossimo 26 ottobre.

martedì 7 ottobre 2014

LA FRENATA DEI MERCATI

Lo scenario di crescita globale così come la mancanza di efficacia mostrata da alcune manovre di politica monetaria delle banche centrali influenzano l’appetito al rischio sui mercati. Le prime evidenze mostrano una frenata dei titoli azionari a livello mondiale, i prezzi delle commodity al ribasso e un innalzamento dell’interesse verso strumenti per natura senza rischio come i bond governativi americani.

I fattori che stanno portando tensioni in questi mesi autunnali sono molteplici. Tra i più recenti, l’evidenza di una debolezza che sembra strutturale della prima economia europea, la Germania. Trainata in questi anni post-crisi da straordinari risultati della bilancia commerciale e con export ai massimi livelli, l’economia tedesca ora sembra in sofferenza, con l’annuncio di ripetuti dati economici negativi. L’effetto delle politiche dell’austerity sembra aver soffocato le economie europee. Tra queste la Francia, che rappresenta il principale partner europeo circa le importazioni dalla Germania. Il rallentamento economico europeo ha fatto si che l’istituto di Washington IMF abbia tagliato e ridimensionato le stime di crescita. Tra gli altri elementi di preoccupazione ci sono i crolli in borsa delle società nel settore travel sulla piazza londinese a seguito dellì’impatto del virus Ebola che sembra essere sbarcato anche in Spagna.

Tali tensioni hanno generato perdite del FTSE Eurofirst 300 di circa 1,5% nelle precedenti sessioni, e il suo simile in Asia di circa l’ 1%. A seguito anche delle dinamiche in Arabia Saudita il petrolio registra livelli di prezzi intorno ai 90$ al barile, minimi da due anni. L’ S&P 500 mostra una chiusura vicina ai minimi da due mesi e circa il 3,8% sotto i proprio picco massimo. L’indice CBOE Vix, che racchiude le aspettative di volatilità del mercato azionario ha raggiunto un picco massimo degli ultimi 7 mesi.

Riflessioni più ampie e strutturali ci portano ad interpretare questi dati come semplici step ciclici della cavalcata dei mercati degli ultimi mesi. Potremmo essere dunque ad un punto di flesso di un ciclo che dura da diversi anni. Non meno importante, e di certo non lontano dai pensieri degli operatori nei mercati, è la “Fed fear”. Il piano di Quantitative Easing lanciato dalla banca centrale americana è di estrema attualità e rappresenta il terzo maggior programma di acquisto di asset da parte dell’istituto americano. Per essere lineari e semplici, è limpido l’effetto che ci sarà quando il QE verrà terminato, ovvero una caduta a catena delle più importante piazze a partire da Wall Street. Resta da capire quando evento verrà effettivamente implementato.

domenica 5 ottobre 2014

In attesa del TTIP ecco il CETA

Canada-EU

Mentre si susseguono i round negoziali per il Transatlantic Trade and Investment Partnership Ottawa e Bruxelles celebrano il termine dei negoziati del Comprehensive Economic and Trade Agreement che, iniziati a Praga nel 2009,  si sono conclusi il 26 settembre del corrente anno.  Ora, come previsto dall'iter burocratico dell'Unione Europea, la palla passa al Consiglio, al Parlamento ed agli stessi paesi membri per la ratifica individuale.

Se tutto il processo non dovesse avere eccessivi intoppi il trattato di libero scambio entrerà in vigore a partire dal 2016.

Il CETA prevede l'eliminazione del delle tariffe doganali tra Canada ed UE, l'accesso da parte delle imprese europee al settore pubblico canadese, il riconoscimento degli standard europei nel settore automobilistico, una armonizzazione delle norme di protezione del Copyright ed  un accesso privilegiato nel mercato europeo da parte delle aziende canadesi.

In particolare gli stati europei avranno benefici nell'industria automobilistica, chimica, delle telecomunicazioni delle assicurazioni mentre il Canada si aspetta vantaggi per il settore agricolo e forestale e per le esportazioni di minerali e metalli, come riporta il Frankfurter Allgemeine Zeitung.

L'accordo tra UE e Canada andrà a rafforzare i già solidi legami commerciali tra le due parti, infatti al momento l'Unione Europea è il secondo partner commerciale canadese.

E' stato inoltre stimato un aumento di più del 20% degli scambi  che aumenterà per 12 miliardi di euro le entrate dell'UE e per 8 miliardi di euro quelle canadesi.

Sono state però rivolte pesanti critiche sulla poca informazione e pubblicizzazione di questo accordo, ed in particolar modo sembra non convincere del tutto il sistema di protezione degli investitori stranieri previsto all'interno delle 1500 pagine che lo compongono.

Riuscirà il CETA a convincere i paesi membri dei propri benefici oppure le perplessità avranno il sopravvento al momento della ratifica?

venerdì 3 ottobre 2014

JP Morgan assaltata dagli hacker

E' la notizia del giorno e anche In Italia ne parlano tutti, dai quotidiani economici ai blog di tecnologia: JP Morgan è stata assaltata dagli hacker che hanno violato milioni di conti correnti tra consumatori e imprese:

Scrive IlSole24Ore:

"Settantasei milioni di conti correnti di consumatori e sette milioni di conti di piccole aziende. L'assalto di pirati informatici contro la principale banca americana che si è consumato quest’estate è stato peggiore - molto peggiore - di quanto finora ritenuto. JP Morgan, in nuovi documenti depositati alla Sec, ha rivelato che in tutto non un milione come inizialmente stimato, ma più di 80 milioni di conti bancari, vale a dire i conti di ben due terzi delle famiglie americane, sono stati aggrediti e parzialmente infiltrati da sconosciuti hacker."


Un attacco record nella storia americana, iniziato in giugno e scoperto solo un mese dopo che ha evidenziato la debolezza e la vulnerabilità del sistema finanziario.

"L'ampiezza della violazione nella sicurezza dei grandi computer dell'istituto di credito ha sorpreso gli stessi vertici di JP Morgan. Numerosi top executive, ha indicato il New York Times, sono rientrati in fretta al quartier generale di New York da Naples in Florida, dove partecipavano a una conferenza, per incontri ai massimi livelli volti a gestire e contenere il terremoto tecnologico."

Ignote le orgini e le motivazioni dell'attacco, anche se si pensa ad un possibile coinvolgimento di governi esteri come la Russia:

"Il giallo è stato infittito dalla misteriosa origine e dagli oscuri motivi dell'abbordaggio dei pirati informatici. Le dimensioni dell'operazione - che ha compromesso ben 60 server - la sua sofisticazione - è raro che una banca ne sia direttamente vittima, più spesso accade con retailer e carte di credito - e l'apparente assenza di tentativi di furto - dai conti non mancano fondi - hanno spinto alcuni esperti a immaginare qualcosa di più di normali hacker o criminali. Alcune ipotesi vedono un coinvolgimento di governi o organizzazioni estere, dalla Russia all'Europa orientale e meridionale. I pirati avrebbero infiltrato i server dell'istituto, utilizzando software che catturano dati noti come malware, per periodi di un'ora alla volta tra metà giugno e metà agosto."

Altri dettagli tecnici sono stati rivelati, come riporta PuntoInformatico:

"Per quanto riguarda la "qualità" delle informazioni trafugate, e quindi i potenziali effetti futuri della breccia, JPMorgan parla di nomi, indirizzi, recapiti telefonici, indirizzi email e "informazioni interne a JPMorgan Chase"; i dati di login ai servizi strettamente finanziari dell'istituto (numeri di conto, userID e password, date di nascita e numeri della tessera di Social Security) non sarebbero invece a rischio."

La stessa ipotesi sulla natura dei dati trafugati, sono confermate anche dal Sole24Ore:

"Le informazioni catturate riguardano cioè nomi, indirizzi, e-mail e numeri di telefono. Password, numeri identificativi del social security (il codice fiscale americano), numeri di conto e date di nascita, dati assai più delicati, sono invece rimasti del tutto protetti. Sopratutto, JP Morgan ha confermato che i soldi dei clienti “sono al sicuro”.

La rivelazione di JP Morgan, riportata negli ultimi documenti depositati alla SEC, sembra però essere parte di un quadro più ampio di attacchi subiti da vari istituti finanziari americani durante lo stesso periodo:

"Il massiccio furto di informazioni denunciato da JPMorgan risulta essere compatibile con la rivelazione pubblica, avvenuta l'estate scorsa, dell'avvio di un'indagine dell'FBI in merito a una breccia telematica sperimentata dal succitato colosso degli investimenti finanziari e da altri importanti istituti bancari USA. In quel caso si era esplicitamente parlato di attaccanti sponsorizzati dallo stato russo e di motivazioni politiche, mentre il vettore dell'attacco sarebbe una vulnerabilità zero-day presente all'interno del codice del sito Web della banca."

mercoledì 1 ottobre 2014

IL RITROVATO POTERE DEL PETROLIO

Commodity d’eccellenza, strumento di estrema ricchezza per le nazioni ma anche elemento di equilibrio di rapporti internazionali. Il petrolio sembra aver ritrovato in questi giorni il fascino nelle strategie estere delle più importanti economie mondiali. In questi giorni l’Arabia Saudita ha mostrato un doppio schema con effetti potenzialmente enormi, quali il taglio della produzione e la decisione di tagliare i prezzi in novembre. Analisti delle più influenti banche d’investimento segnalano questi due eventi come capaci di accendere la miccia verso la discesa dei prezzi del greggio.

L’importanza di queste recenti notizie è probabilmente collegata ad una strategia complessa. Gli Stati Uniti hanno da tempo livelli di esportazione di greggio oltre i limiti imposti dagli accordi internazionali, e le mete si differenziano da Alaska e Canada (come da accordi) ma sembra i carichi abbiano come destinazione la Corea e alcuni paesi europei. Il petrolio è una risorsa di estrema importanza per nazioni che generano gran parte del proprio benessere grazie ad esso, come il Venezuela (già colpito da una crisi profonda) e la Russia.

Come riporta Il Sole 24Ore: “la banca centrale Russa sta già approntando un contingency plan per un'eventuale caduta del barile a 60 $, evento che sarebbe devastante per la sua economia. Qualche analista ipotizza che sia proprio Mosca il bersaglio principale di una strategia che Riyadh potrebbe aver concordato con gli Stati Uniti. Ma se il petrolio dovesse restare per un periodo prolungato a 60-70 $/barile sarebbero guai seri anche per molte società petrolifere americane, soprattutto quelle attive nello shale oil o in altre attività costose come quelle offshore”.

Lo scacchiere è dunque organizzato in modo da creare non poche tensioni nei prossimi mesi. Oltre alle mosse dei governi, bisognerà osservare con attenzione anche le manovre delle banche d’investimento che, cercando posizioni speculative, potrebbero fungere da moltiplicatore nella discesa del prezzo del Brent.