venerdì 20 febbraio 2015

Braccio di ferro europeo con la Grecia

Il lungo e inteso braccio di ferro tra le istituzioni europee e il governo greco prosegue, e questi giorni sembrano essere fondamentali per il futuro del paese.

Il ministro delle finanze tedesco Wolfgang Schäuble ha prontamente risposto alla richiesta greca inoltrata nei giorni scorsi, arrivando dritto al punto senza possibili interpretazioni. Facendo un breve passo indietro, la Grecia vede il proprio piano di sostegno monetario in scadenza, precisamente il 28 febbraio. Le dimensioni del rientro economico spaventano le finanze del paese, i €172 bn sembrano essere troppi da restituire all’europa per un paese che sta inesorabilmente continuando a peggiorare le proprie finanze. Il possibile fallimento nazionale potrebbe guidare la Grecia verso l’uscita dall’eurozona. Da qui è partita la richiesta del nuovo governo di Tsipras per rimandare il rientro monetario di circa sei mesi.

Non lascia dunque interpretazione la risposta tedesca, e Mr Schäuble ha chiaramente indicato che l’unica possibilità di rimandare la data di scadenza dei sussidi europei è che il governo greco accetti il pacchetto di riforme concordato prima dell’arrivo di Tsipras. La crisi del governo greco pone un esame di stabilità all’intero sistema economico e finanziario europeo, cosi come mette sotto pressione la leadership della Germania nei confronti dei 28 membri EU.

Diverse interpretazioni degli scenari futuri sono espresse da economisti di rilievo. Una possibile “vista” identifica un enorme rischio nel caso in cui la Grecia dovesse lasciare l’area Euro, perché economie già in sofferenza potrebbero essere contagiate e potrebbero non essere in grado di reagire. Il ministro tedesco invece sembra seguire un’idea diversa, e ha espresso maggiore tranquillità evidenziando come l’Europa è in una situazione stabile e potrebbe gestire l’uscita del paese senza effetto dominio.

Stretti collaboratori della cancelliera tedesca A. Merkel sottolineano come il programma di riforme della Grecia sia di vitale importanza per risollevare l’economa del paese nel lungo periodo, e permetterebbe di evitare ulteriori sofferenze verso una popolazione già duramente colpita in questi anni di crisi. L’importanza della questione ribattezzata “Grexit” fa si che un chiaro tono accomodante sia mantenuto nel braccio di ferro, e ripetutamente viene aperto uno spiraglio per poter contrattare e arrivare a dei compromessi comuni. Il 28 febbraio è vicino e i politici dovranno prendere delle decisioni di enorme impatto per il futuro dell’eurozona.

giovedì 12 febbraio 2015

Obbligazioni con tassi negativi: il cioccolato sarà il nuovo oro?

In teoria, se presti soldi a qualcuno dovresti riottenere la cifra prestata più un certo ammontare di interessi. Ma se si guarda all’economia europea di questi ultimi tempi ci si può accorgere che questo non è più del tutto vero. I rendimenti di obbligazioni di paesi “sicuri” come Danimarca, Svizzera e Germania sono negativi, ma cosa ancora più sorprendente anche quelli di alcune aziende multinazionali.

Alla chiusura delle negoziazioni di martedì scorso, ad esempio, le obbligazioni con scadenza 2016 del gigante del cioccolato Nestlè hanno registrato -0,004%. Le obbligazioni con scadenze tra 2016 e 2017 di altre aziende sicure come la farmaceutica Novartis, la chimica Basf e la petrolchimica Shell hanno chiuso con rendimenti prossimi allo zero.

In sostanza gli investitori pagano per il privilegio di prestare dei soldi.

Ma è possibile? E perché i tassi di interesse sono andati in negativo?

Se analizziamo la situazione, possiamo vedere come i rendimenti negativi delle obbligazioni siano il risultato di un semplice meccanismo di domanda e offerta. Chi vende un’obbligazione offre all’investitore degli interessi in cambio del suo prestito. Se la domanda è bassa, il rendimento deve salire per spingere gli investitori all’acquisto; al contrario se la domanda è molto alta il rendimento scende fino ad arrivare addirittura a valori negativi.

Nel caso specifico dell’Europa, ci sono alcuni fattori che stanno influenzando questa dinamica di domanda e offerta. Come evidenzia il Sole24Ore, stiamo assistendo a una “giapponizzazione” dei mercati, una distorsione dovuta in parte anche alla decisione della BCE di lanciare il quantitative easing.

La politica di QE dovrebbe aiutare l’economia riducendo i tassi di interesse e alleggerendo la pressione sul debito pubblico dei paesi più a rischio: la crescente domanda per i titoli di stato spinge i relativi rendimenti al ribasso, rendendoli meno attraenti per gli investitori privati che, in questa situazione, dovrebbero preferire investire in altre attività di maggiore dì stimolo per l’economia.

Ma in questo momento gli investitori hanno aspettative pessimistiche e deflazionistiche sul futuro dell’Eurozona, cosa che li spinge a evitare investimenti rischiosi, ma remunerativi e a preferire quindi titoli di stato o obbligazioni societarie sicure, come quelle di Nestlé, sperando di guadagnarci in futuro in termini reali in seguito a una diminuzione dei prezzi. Dal punto di vista azionario invece caccia è aperta per i titoli di società che continueranno a garantire dividendi elevati, remunerazioni straordinarie agli azionisti o lanceranno operazioni di buy back.

sabato 7 febbraio 2015

Tempi duri per i tassi di cambio fissi con l'euro: il caso della Danimarca

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Dopo la Svizzera ecco che il deprezzamento dell'euro mette in difficoltà anche Copenaghen.

La Banca Centrale Danese, a seguito dell'annuncio relativo al piano di quantitative easing promosso dalla BCE, si è vista costretta a diminuire i tassi sui depositi fino al -0.75%. Questa mossa dovrebbe quindi limitare l'afflusso di capitale verso la Danimarca.

Inoltre, come indicato da IlSole24Ore, nell'ultimo mese la National Banken ha aumentato di ben 16.3 miliardi di dollari le sue riserve di valuta estera (che sono arrivate ad un valore pari del 30% del Pil), comprando euro per corone danesi al fine di non fare apprezzare la moneta nazionale.

La confederazione elvetica è uscita dall'empasse causata dalla fluttuazione al ribasso della moneta comunitaria apprezzando il franco. Ciò è stato possibile in quanto la scelta di mantenere il tasso di cambio euro franco a 1.20 è stata arbitrariamente presa dalla Banca Centrale Svizzera.

Differentemente dalla Svizzera, la Danimarca fa parte dell'Unione Europea e nonostante non abbia adottato la moneta unica (rifiutata tramite referendum 15 anni fa), ne è obbligatoriamente legata tramite un tasso di cambio fisso.

In particolare è prevista una fascia di fluttuazione di +/-2.25 punti percentuali rispetto al valore fissato dagli accordi con l'Unione Europea, equivalente a 7.46 corone per un eutro.

Nonostante la solidità dell'economia danese questa è una situazione insostenibile sul lungo periodo, considerando che la strenua difesa del tasso di cambio fisso con un'euro sempre più debole espone la valuta nazionale a possibili attacchi speculativi.

Non resta che sperare che le economie dell'area euro, che beneficeranno del deprezzamento dell'euro, ripartano velocemente così che le economie strettamente collegate ad esse non cadano in pericolosi vortici speculativi.