lunedì 29 giugno 2015

Giù i tassi d’interesse in Cina


La risposta è stata più tempestiva che mai. Nei giorni scorsi i mercati azionari hanno sofferto una grande contrazione, e la reazione delle istituzioni apre a delle riflessioni più ampie sull’andamento economico della Cina.

La banca centrale cinese ha tagliato il proprio benchmark dei tassi d’interesse sui prestiti ad un minimo storico, e ha diminuito la riserva minima obbligatoria per alcuni istituiti dopo che il mercato azionario è crollato e dopo la forte vendita sui bond governativi.
Questa è la quarta contrazione da novembre 2014, e il tasso di interesse ad un anno sarà ridotto di 25 punti base a 4,85%, come è stato dichiarato dalla People’s Bank of China sul proprio sito nella giornata di sabato. Il tasso di interesse annuale sui depositi si ridurrà di 25 punti base a 2%, mentre l’indicatore del rapporto di liquidità minima richiesta sarà tagliato di 50 punti base, effetto che riguarderà ad esempio due tra le banche più grandi come la City Commercial Bank e la Rural Commercial Bank.

Tale alleggerimento segue la più grande contrazione, sulla base di due settimane, nel mercato azionario dal lontano dicembre 1996. Nel quadro macroeconomico, mentre la produzione industriale e le vendite retail si sono stabilizzate nel mese di maggio, gli investimenti hanno proseguito la strada del rallentamento, segnale di una debolezza della spesa pubblica nelle infrastrutture che le alte cariche cinesi stanno dimostrando.
“La banca centrale non vuole il panico causato dai movimenti del mercato azionario”, ha dichiarato Shen Jianguang, economista presso Mizunho Securities Asia Ltd. In Hong Kong. “Questo poterebbe ad una instabilità finanziaria”.

Il premier Li Keqiang ha dichiarato un target di crescita di circa 7% nel 2015, il quale sarebbe il più basso su base annuale dal 1990.
Questa repentina manovra si aggiunge ad una ondata globale di easing monetario. Sud Korea e Nuova Zelanda sono tra gli ultimi ad aver diminuito i propri tassi di interesse, a causa dell’andamento economico Cinese e altre dinamiche domestiche che proiettano i paesi verso scenari con ulteriori stimoli.

L’indice Shanghai Composite ha subito una contrazione di ben 7,4% nella giornata di venerdì, proseguendo un forte declino che si mantiene dal 12 giugno, segnando quello che i mercati definiscono “bear market”.

“Ulteriori crolli al ritmo visto negli ultimi giorni avrebbe forzato gli operatori ad un altro round di forte vendita, portando i mercati all’instabilità”, ha dichiarato Lu Ting, capo economista presso Huatai Securities Co. “Ne consegue che evitare il panico nei mercati finanziari e proteggere la confidenza nel mercato è parte delle considerazioni alla base della manovra”.

Il governo cinese ha aumentato progressivamente gli sforzi per prevenire forti depressioni economiche, intervenendo sulla dimensione del proprio debito pubblico, offrendo ai governi locali finanziamenti più convenienti per alleviare il problema del funding.
I governi locali hanno in programma di emettere circa $451 miliardi di debito quest’anno, aggiungendo liquidità nell’economia. Il confronto su queste manovre con gli economisti evidenzia un forte timore di essere di fronte ad una bolla economica nel perimetro cinese, e la tempestività degli interventi delle istituzioni segnala grandissima attenzione per evitare di entrare in un periodo di panico sui mercati e di instabilità finanziaria ed economica.

lunedì 22 giugno 2015

Intesa tra Russia e Grecia per il passaggi o del Turkish Stream


Turkish Stream passerà attraverso il territorio greco.
Panagiotis Lafazanis , ministro greco per l’energia, ed il suo collega russo Aleksandr Novak hanno firmato l’accordo preliminare per la costruzione del gasdotto legato al progetto Turkish Stream.
L’intesa è stata firmata durante il Forum Economico Internazionale di San Pietroburgo e sancisce il coinvolgimento di Atene nella costruzione del tratto di Turkish Stream che passerà in terra greca.
Turkish Stream è stato progettato in sostituzione di South Stream, progetto arenato (probabilmente in via definitiva) a causa della crisi scoppiata in Ucraina.
In particolare il documento firmato da Novak e Lafazanins prevede che il tratto interessato venga diviso equamente tra la VEB (Vneshekonombank, banca di stato russa dedicata allo sviluppo) e la Grecia. In questo modo Gazprom non avrà direttamente nessun controllo sulla tratta che attraverserà la Grecia.
Inoltre è previsto che la Russia provveda al prestito del 100% dei capitali necessari alla creazione del tratto (circa due miliardi di dollari). Allo stesso tempo il governo russo ha già anticipato che non distribuirà aiuti alle imprese che vorranno investire nel paese ellenico.
I lavori per la costruzione di Turkish Stream cominceranno nel 2016 per poi concludersi nel 2019, anno di scadenza  del contratto sottoscritto tra Kiev e Gazprom per il passaggio del gas in territorio ucraino.
E’ stato previsto che tramite il gasdotto verranno trasportati  47 miliardi di cubi di gas, quantità che la UE giudica eccessiva in funzione delle esigenze dei paesi europei.
Riguardo a questo progetto l’Unione Europea ha sollevato le stesse obiezioni avanzate nei confronti di South Stream, che contravveniva alle normative comunitarie in relazione alla proprietà contemporanea del gas e delle rotte utilizzate per esportarlo.
Questa mossa, anche se non legata alla situazione debitoria del paese con Fondo Monetario Internazionale ed UE, rappresenta una forte presa di posizione politica nei confronti di Stati Uniti e l’Unione stessa, entrambi contrari a sostenere questo progetto in quanto sostenitori di vie alternative a quella russa.
Tutto ciò considerando che in questi giorni il governo guidato da Alexis Tsipras sta negoziando proprio con i vertici europei una possibile ristrutturazione del debito che affligge l’economia del paese.

domenica 21 giugno 2015

Grexit è come Lehman Brothers?


A tutti gli attori che annunciano l’avvicinarsi della Grecia alla porta di uscita dell’euro, i mercati stanno rispondendo che questo non impatterà come la crisi del 2008 e la seguente crisi del debito sovrano di 4 anni fa.
Il primo esempio si osserva sui tassi di spread delle nazioni periferiche. I bond spagnoli sono schizzati a 151 punti base nei confronti del benchmark tedesco, livelli di molto inferiori rispetto ai 650 punti base visti nel 2012, quando la Grecia era prossima alla bancarotta. Per gli investitori, questo suggerisce come le possibilità di contagio nel resto d’Europa sono diminuite notevolmente.
“La Grecia è simbolicamente importante per l’Europa ma non rappresenta il caso finanziario Lehman”, ha dichiarato Stephen Jen, managing patner di SLJ Macro Partners LLP a Londra. “L’impatto del default della Grecia o dell’uscita dall’euro sarà negativo per il paese stesso, ma un eventuale contagio sarà limitato. La Banca Centrale Europea sta stampando moneta, i tassi di interesse si mantengono bassi, e l’economia sta vivendo una fase di crescita ciclica”.
I mercati delle valute mostrano anch’essi ottimismo circa il futuro dell’unione monetaria, con l’euro che si rafforza più del 2% negli ultimi due mesi nei confronti del resto dei paesi sviluppati. Tutto questo avviene dopo che l’ultimo incontro dei ministri delle finanze si è concluso senza il raggiungimento dell’accordo sugli aiuti alla Grecia, imponendo ai leader un ulteriore summit di “emergenza” lunedì.

Un importante fattore critico che innervosisce i mercati è lo spettro del controllo dei capitali che la Grecia potrebbe attivare. Lo spread FRA/OIS, indice di quanto le banche siano diffidenti nel prestare moneta ad un altro istituto, è balzato di ben 18 punti base nella sola giornata del 15 giugno. Il picco massimo è pur sempre meno di un quarto degli 80 punti base che ha raggiunto alla fine del 2011.
“La Grecia non è importante nel lungo periodo”, ha dichiarato Stephen Jen, “Un fallimento della Grecia sarebbe effettivamente come ammettere che l’Europa abbia fatto degli errori ad accettare un paese che chiaramente non aveva i requisiti di forza e disciplina necessari per essere un membro. Questo è un rischio per la reputazione europea, e rappresenta una difficoltà molto più importante per l’Europa”.
“Lo scenario indica che gli investitori non pensano la questione greca possa esplodere”: ha dichiarato Fabrizio Fiorini, chief investment officer di Aletti Gestielle SGR SpA a Milano. “E nel caso di un esplosione, il danno verso gli altro bond periferici sarà limitato grazie al programma delle BCE di acquisto dei bond. Le cose possono effettivamente andare peggio prima di andare meglio, ma nel lungo periodo andranno meglio”.

mercoledì 17 giugno 2015

Kickstarter si espande in Italia


Dopo Netflix di cui abbiamo parlato la scorsa settimana, un altro gigante dell’innovazione ha deciso di espandere la sua presenza sul mercato italiano. Kickstarter, il sito-simbolo del crowdfunding, ossia la raccolta di fondi online per finanziare progetti di ogni genere, ha annunciato che diventerà disponibile anche nel nostro paese e consentirà a creativi, startupper e altre menti geniali di pubblicare progetti in italiano, raccogliere fondi in euro e utilizzare il proprio conto corrente. Non ci sarà un sito nazionale, ma gli utenti italiani potranno accedere al network di finanziatori globali e avere accesso agli stessi servizi che finora sono stati riservati solo a pochi paesi.  L'Italia è il tredicesimo paese ammesso nell'orbita del gigante statunitense, nella stessa giornata che apre le porte del fenomeno ad altri quattro mercati europei: Austria, Belgio, Lussemburgo e Svizzera.
La piattaforma Kickstarter è stata lanciata nel 2009 e fino ad ora 8,8 milioni di persone hanno investito l'equivalente di circa 1,6 miliardi di euro per dare vita a più di 86mila progetti creativi di registi, musicisti, designer.
Gli utenti possono proporre un progetto in 15 categorie, dal giornalismo alla tecnologie, con una breve presentazione e inserendo due parametri fondamentali: durata dalla campagna e obiettivo economico, ossia il “goal” che deve essere raggiunto (esempio: 40mila dollari in un mese). I finanziatori che decidono di supportare il progetto ricevono un premio, livellato a seconda della quota versata, in caso il progetto venga finanziato interamente. Vale però la regola del “tutto o niente”: se il progetto va in porto, la cifra viene devoluta al creatore; se il goal non viene raggiunto, non ci sarà alcun addebito per chi ha scommesso sul progetto. Il guadagno, per la società, deriva dalla commissione del 5% su tutti i fondi che può essere riscossa in caso di esito positivo.
Secondo quando riporta il Sole24Ore, per Julie Wood, responsabile della comunicazione per Kickstarter, “una piattaforma di creativi sarebbe stata incompleta senza il gusto italiano tra i suoi progetti.” Le categorie che potrebbero trainare l'offerta made in Italy sono quelle più classiche, dal design al food, lasciando comunque spazio alle nuove tecnologie.
Kickstarter va quindi ad affiancarsi ad altre realtà più piccole, che in sua assenza erano fiorite sul mercato italiano. Si contano infatti numerose piattaforme italiane di crowdfunding orizzontale (WeDo, SiamoSoci, Produzioni dal Basso, Starteed), ma anche verticale, dedicate a un singolo ambito creativo (Musicraiser, Cineama, Cubevent) che dovremo attendere i prossimi mesi per capire come reagiranno all’entrata di questo nuovo colosso.

domenica 14 giugno 2015

Internet dal cielo: Space x ed il progetto di irradiazione satellitare


Elon Musk, cofondatore di Paypal, ha in mente un piano che potrebbe rivoluzionare il sistema di distribuzione della rete internet in tutto il mondo.
Tramite l’agenzia Space Exploration Technologies Corporation, di cui è amministratore e Chief Technical Officer, ha chiesto al governo degli Stati Uniti per testare un sistema che permetterebbe di irradiare il segnale per le connessioni ad internet utilizzando dei satelliti in rotazione attorno alla Terra.
Il sistema, attualmente composto da 4mila piccoli satelliti dovrebbe essere in grado di irradiare segnale a banda larga in tutto il mondo, anche nelle zone più remote ed inospitali dove al momento risulta complesso l’accesso al web, entrando in concorrenza con i maggiori operatori mondiali.
Con questo progetto SpaceX passerebbe da essere una agenzia specializzata esclusivamente ai lanci spaziali al potenziale più grande provider di servizi internet, avendo una portata in grado di servire tutte le aree del pianeta grazie alla bassa altezza alla quale verrebbero posizionati i satelliti.
La richiesta inoltrata alla Federal Communication Commission lascia intendere quanto il magnate Sudafricano naturalizzato statunitense punti su questo progetto.
Il test richiesto prevede l’invio di questi piccoli satelliti per verificare l’effettiva portata del segnale mandato dalle loto antenne.
Google e Fidelity hanno dimostrato di voler puntare sul cavallo SpaceX investendo circa un miliardo di dollari nell’ambiziosa agenzia.
Musk non è il primo e ne l’unico a puntare il business “verso il cielo”.
Già Bill Gates, negli anni novanta, tentò con Telesic, provò a realizzare un sistema di irradiazione del segnale internet utilizzando satelliti in orbita bassa intorno alla pianeta terrestre. Purtroppo l’attuazione di questo non venne mai completata a causa dei costi, infatti i nove miliardi di dollari necessari per il completamento del progetto furono ritenuti eccessivi.
Inoltre Richard Brenson, proprietario del colosso Virgin, ha finanziato una azienda con un progetto simile, OneWeb di Greg Wyler.
L’obiettivo di Musk, che conta di attivare il servizio entro 5 anni,  è quello di riuscire a gestire il 10% del traffico mondiale raggiungendo sia le aree cittadine che rurali.
Il successo di questo piano rivoluzionerebbe il mercato dei provider di servizi internet. Resta da capire come agiranno i fornitori di questo servizio che attualmente operano nel mercato.

venerdì 12 giugno 2015

Record di M&A: buona o cattiva notizia?


Il fenomeno delle fusioni ed acquisizioni è storicamente sotto i riflettori per percepire l’andamento dei servizi finanziari da un lato e dell’economia reale dall’altro. Analisti, economisti e professori universitari si confrontano da anni nell’interpretare questo fenomeno, sia per prevedere gli effetti sui cicli economici sia per comprendere le cause degli andamenti, anch’essi ciclici, dell’attività.
I servizi legati all’ M&A attraggono enormi quantità monetarie e rappresentano strumenti strategici per la competizione in un determinato settore. L’alternativa alla crescita organica di una società, che si esprime in investimenti interni volti ad implementare le risorse presenti, è quella di acquisire le competenze esternamente, coinvolgendo un processo spesso complesso di integrazione con quanto l’assetto societario in essere.
Le fusioni ed acquisizioni divengono ancor più strategiche se si pensa alle holding che detengono grosse fette di un determinato settore, poiché è possibile spostare notevolmente gli equilibri del quadro competitivo del mercato.
Quello che particolarmente cattura l’attenzione è quando M&A si manifesta ad ondate ben definite. Alcune cause di questi picchi possono essere associate alle diverse fasi dei cicli economici di un settore. Evidenze storiche mostrano come alcuni settori alternino fasi di “fermento”, con l’ingresso di nuovi entranti e con basse barriere d’ingresso, a fasi di “consolidamento”, dove la concentrazione dei player del settore porta ad avere alcune posizioni dominanti. Dunque, dopo il mescolamento iniziale di nuove società e di competenze, si entra nella fase di maggior maturità del settore, ed è qui che entra in gioco il ruolo strategico di M&A.
Nell’attuale situazione economica e di mercato, ci troviamo esattamente in un picco record di fusioni ed acquisizioni. Come riposta il Sole 24Ore: “E' il record storico: 243 miliardi di dollari in appena un mese nei soli Stati Uniti, poco meno del Pil annuo di un'economia come l'Irlanda. La febbre da fusioni e acquisizioni (M&A, merger and acquisitions) non è mai stata così alta. E non solo negli States, dove la transazione kolossal di Charter Communications per Time Warner Cable e Bright House nei sistemi tv e internet via cavo ha alzato la mareggiata di tante altre operazioni, ma un po' in tutto il mondo, Italia compresa. Perché sono così di moda fusioni e acquisizioni? Perché c'è un sacco di liquidità in giro e le aziende si possono indebitare allegramente a tassi risibili, pari alla metà di quelli del 2007. Ma anche perché se l'economia reale non corre, la strada più semplice per crescere (e per far crescere i bonus dei top manager) sono le operazioni per linee esterne”.
Quali sono le possibili conseguenze che ci aspettano? Chiediamolo alla storia: “il massimo mensile segnato prima di quello del mese scorso risale al maggio 2007 (226 miliardi di dollari): quindi pochi mesi prima della lunga caduta che avrebbe portato Wall Street a dimezzare gli indici. E il record precedente? Gennaio 2000: 213 miliardi di dollari di M&A nel bel mezzo della bolla internet, che sarebbe esplosa anche in questo caso pochi mesi dopo, facendo rotolare nella polvere l'allora mitico Nasdaq”.
Non arriviamo a conclusioni affrettate. I fattori in gioco sono davvero molti e il come si intersecano rende il quadro complesso da decifrare. Alcuni aspetti che entrano in gioco e potrebbero decidere uno scenario diverso rispetto a quelli appena visti riguardano il mezzo di pagamento nei processi di M&A (tramite azioni, contanti, …), il ruolo della FED e la ripresa dei tassi di interesse e il quantitative easing europeo. Ciononostante, il primo campanello d’allarme sembra suonare.

mercoledì 10 giugno 2015

Apple cambia musica e vuole "suonarle" a Spotify


Note. Ne arrivano tante e alte da Cupertino a far vibrare il mercato musicale. Apple durante il WWDC dello scorso 8 giugno ha annunciato infatti che scenderà nell’arena dello streaming, dominio di Spotify, con la sua “Beat Music”. Dopo aver rivoluzionato solo pochi anni fa l’intero mondo della distribuzione musicale con iTunes, Apple rilancia in un segmento chiave del suo ecosistema: la musica.
Nemmeno il tempo di annunciarlo che in meno di 48 ore dal lancio il Financial Times riporta di un indagine dell’antitrust a stelle e strisce, voluta dai procuratori generali degli stati di New York e Connecticut, volta ad accertare se nei rapporti tra il colosso high-tech e le etichette discografiche vi siano alterazioni volte a far ottenere ad Apple vantaggi competitivi rispetto ai concorrenti, Spotify in primis.
La notizia è diventata ufficiale con una lettera che la Universal Music ha inviato al procuratore Schneiderman con l’intenzione di collaborare appieno nelle indagini sicuri che “con le informazioni ricevute, i procuratori non vorranno più condurre ulteriori indagini su Universal” e la conferma del portavoce del procuratore generale di New York, Matt Mittenthal di un’indagine in corso sui servizi di streaming musicale.
Apple dovrebbe preoccuparsi? No, o forse si, se si pensa che le firme in calce all’indagine sono degli stessi procuratori che stanno valutando la validità degli accordi tra Apple e le case editrici sul prezzo degli eBook, già costata alla casa californiana un patteggiamento e una multa da 450 milioni di dollari.
Apple ha preferito non commentare la notizia per non rovinare l’esordio sul mercato internazionale di Apple Music previsto per il prossimo 30 giugno ma le premesse fanno intravedere un eco fortissimo per questa vicenda.
Nel frattempo Spotify ha annunciato proprio oggi di aver raggiunto 75 milioni di utenti attivi, di cui 20 a pagamento con un incremento su base annua del 100%. Nella nota, l’azienda specifica come dal lancio abbia prodotto più di tre miliardi di dollari per l’industria musicale e registra un nuovo round di finanziamenti per 526 milioni, con una raccolta ben oltre le attese e una valutazione attuale di 8,4 miliardi di dollari.
Sebbene il Financial Times sottolinei come questo modello di business porti alle case discografiche la maggior parte (il 70%) del fatturato sono numeri importanti, numeri che fanno gola a tanti. Anche ad Apple.
La sfida è lanciata, e la sensazione è che Apple e Spotify non saranno gli unici a giocarla. Entreranno sicuramente YouTube e Amazon e forse anche altri.
Non resta che mettersi le cuffie e restare in ascolto.

lunedì 8 giugno 2015

Netfilx in Italia da Ottobre


La notizia era nell'aria da tempo, ma ora è ufficiale. Netflix, il colosso statunitense della televisione online ha annunciato con un tweet che sbarcherà in Italia il prossimo ottobre e si espanderà presto in Portogallo e Spagna, mettendo dunque radici anche nell’Europa meridionale, dopo aver conquistato nei mesi scorsi Scandinavia, Europa centrale e Gran Bretagna.
Sarà quindi finalmente possibile anche per gli utenti italiani usufruire del catalogo di più di 15 mila film, programmi e serie tv in streaming on demand previa sottoscrizione di un abbonamento. I prezzi per l’Italia sono ancora da definire, ma secondo quanto dichiarato dal CEO Reed Hastings “saranno comunque in linea con quelli degli altri paesi europei”, che hanno abbonamenti a partire da 7,99 euro al mese, tutto incluso. L’applicazione sarà preinstallata su smartphone e tablet forniti dagli operatori telefonici, su smart tv e console di gioco, e potrebbe addiittura essere inclusa anche nei decoder di Sky e Mediaset. I partner potranno includere Netflix nelle loro offerte, ma nessuno l’avrà in esclusiva. Nel nostro Paese, Netflix troverà la concorrenza di Sky Online e Mediaset Infinity, oltre a quella di servizi indipendenti come Chili, Tim Vision, iTunes e Google Play Film.
Quello di Hastings è un impero che si sta espandendo a vista d’occhio:  Netflix ha fatto registrare nel primo trimestre 2015 un fatturato da 1,57 miliardi di dollari, in crescita rispetto agli 1,27 del 2014.
A fronte dell'aumento dei ricavi, va comunque sottolineato che nello stesso periodo l'utile netto si è ridotto da 53,1 a 23,7 milioni di dollari, su cui ha inciso pesantemente l’effetto del cambio sfavorevole del dollaro risentito a livello internazionale.
Netflix, tuttavia, gli utili li ha sempre fatti e continua a farli anche se non con numeri strabilianti, come gli 86 milioni del 2014, ma nel frattempo ha finanziato costi di acquisizione e produzione di contenuti per 3,7 miliardi nel 2014.
Secondo quanto riportato da Wired, il problema per Hastings, in prospettiva, è l’andamento del mercato dei diritti. I bassi costi del 2007 sono lontani, le major alzano i prezzi. E se quattro anni fa l’incidenza dei diritti sul fatturato era al 40%, oggi è sopra il 60% e potrebbe avvicinarsi al 70%.
Nonostante questo però l’espansione pare irrefrenabile. Il modo in cui abbiamo concepito la televisione finora è destinato a cambiare profondamente nei prossimi anni. Come dichiara Hastings “Per cinquant’anni abbiamo avuto la tv lineare, ma ogni cosa ha il suo tempo e prima o poi viene sostituita: la tv del futuro sarà un grande iPad: uno schermo connesso in cui i canali saranno rimpiazzati dalle applicazioni e ognuno potrà scegliere di vedere quel che vuole, quando vuole.”