sabato 31 gennaio 2015

Italia: l’aiuto arriva da euro e petrolio

Gli impatti macro economici degli andamenti della moneta unica e del petrolio saranno consistenti e misurabili nel 2015 per l’area euro. Secondo un analisi di dettaglio condotta da S&P, l’ Italia avrà dei contributi positivi sul PIL derivanti dalla caduta del greggio e dal cambio euro-dollaro tendente al pareggio.

Come confermato da diversi studi, l’economia Italiana sembra poter registrare un andamento di lieve crescita nel 2015, pur comunque restando inferiore alla media dei paesi in area Euro. Come indicato da Jean-Michel Six, capo economista Emea di Standard&Poor, il prezzo ai minimi del petrolio garantirà un effetto positivo di circa 0,2% dei consumi del settore privato. Con la stessa dinamica è invece stimato un impatto dello 0,4% per la media dei paesi europei. A livello aggregato, il PIL sembra poter beneficiare di 0,1% su base annua per l’ Italia e 0,2% per l’eurozona.

Il secondo fattore è il cambio delle valute euro-dollaro, che vede il deprezzamento della moneta unica europea fino ad arrivare al pareggio, soglia che potrebbe rimanere stabile per tutto il 2016. Questo genera un impatto stimato di 0,5% sulle esportazioni dell’Italia e di 0,3% della media dei paesi europei. Come riportato da Reuters “S&P esprime poi apprezzamento per il quantitative easing. Ma allo stesso tempo invita a non ‘eccedere con l'entusiasmo’, in quanto gli effetti non saranno immediati (i benefici maggiori sono previsti nel 2016-2017) e ‘la Bce si è mossa tardi, in uno stadio avanzato della crisi’.

Dello stesso approccio sembra essere Mario Draghi durante una recente intervista. La BCE segnala un messaggio chiaro agli istituti di credito europei, essendo attori chiave nella svolta della politica monetaria. E’ fondamentale che gli istituti di credito proseguano il percorso di rafforzamento dei propri patrimoni anche quando si potranno registrare i primi segnali positivi del Quantitative Easing. Tale messaggio arriva a seguito delle preoccupazioni della Fed che ha visto gli istituti bancari americani con un “ritorno allegro ai dividendi” poiché la ripresa economica è ben presente, come dettagliatamente riportato da repubblica.it. “Il Consiglio di vigilanza bancaria della Bce ha esortato le banche ‘a una politica conservativa nella distribuzione di dividendi nell'esercizio 2014’ nell'ambito del suo obiettivo di rafforzare la sicurezza e la stabilità del sistema bancario di Eurolandia”.

I mattoni per poter costruire la crescita sembrano essere messi a disposizione, ma le manovre da implementare nel 2015 e nel 2016 devono essere viste in un ottica di prudenza e stabilità nel lungo periodo.

giovedì 29 gennaio 2015

Non tutti hanno paura dell'euro: la Lituania adotta la moneta comunitaria

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Tsipras, neopremier greco, vuole rivedere i trattati, Salvini e Grillo ipotizzano una uscita del paese dall'area euro e intanto i lituani sono entrati nell'unione monetaria dal primo gennaio 2015.

Ma perchè, in una Unione Europea mai in crisi come ora, con la moneta unica sempre meno popolare la il paese baltico ha preso questa decisione?

Innanzi tutto l'adesione all'euro era un obbligo la Lituania doveva adempiere, come previsto dai trattati di adesione alla UE (gli unici esentati sono Danimarca e UK).

In secondo luogo c'è una motivazione politica, in quanto in questo modo sarà limitata l'influenza della Russia, che piano piano sta rimanendo sempre più isolata.

Inoltre l'utilizzo dell'euro garantirà ai produttori locali di commerciare i loro prodotti senza dover ricorrere al cambio euro/lita oltre ad una procedura burocratica più snella.

Agevolazione non meno importante è la possibilità di poter usufruire dei emergenza della BCE e di prestiti dalla stessa a tassi molto bassi (circa allo 0,8%)

Adesione che trova una cospicua approvazione popolare, infatti il 63% cittadini nella nazione baltica si sono espressi a favore dell'euro.

Ma non tutti sono d'accordo.

Le principali motivazioni dei contrari sono legati alla migrazione ed alla perdita di competitività nel mercato del lavoro.

La bassa paga media lituana (meno di due euro l'ora) potrebbe spingere i lavoratori del paese a emigrare verso gli altri paesi europei, dove sono garantite paghe più alte. Ipotesi che personalmente credo poco realizzabile considerando che il tasso di disoccupazione nei paesi euro è pericolosamente alto ed in crescita.

Vedo invece più valida la preoccupazione relativa al possibile aumento dei salari interni che farebbe ovviamente perdere attrattività alla forza lavoro nazionale da parte delle imprese estere, senza contare un inevitabile aumento di prezzi.

Di certo l'adesione della Lituania porterà benefici all'Unione Europea, infatti l'economia baltica è cresciuta di più del 3% sia nel 2013 che nel 2014 con un rapporto deficit/Pil di circa il 2,5%.

Che dire...benvenuta a bordo!

martedì 27 gennaio 2015

Crisi: Nielsen, agli italiani manca la fiducia



Nelle dinamiche economiche le interazioni con il contesto sociale contano non poco, soprattutto quando, in tempo di crisi, si guarda al quadro macroeconomico di un paese in stagnazione come l'Italia.

Secondo le ultime rilevazioni Istat, il 96% degli italiani vede l'Italia ancora in recessione e per il 62% degli stessi la crisi resisterà almeno per tutto il prossimo anno, dato in peggioramento rispetto a fine 2013 con un 5% in più degli intervistati che rivede al ribasso le aspettative per l'anno a venire.

Queste le risposte registrate nel quarto trimestre 2014 dal “Global consumer confidence” di Nielsen su un campione di 30mila individui in 60 Paesi del mondo.

Se il dato in sé risulta già scoraggiante, il peggio si evince confrontando l’indice di fiducia del belpaese con la media europea, pari a 76 punti, trainata dalla Germani a 98 e il Regno Unito a 94. Persino la Spagna e la Francia, che al pari dell’Italia non godono certamente di un momento economico favorevole, riportano dati migliori, rispettivamente 57 per gli spagnoli e 63 per i francesi.

Sul fronte lavoro il sentiment sulla crisi non è migliore, un italiano su quattro rivela infatti di porre al primo posto nella lista delle preoccupazioni la conservazione del posto di lavoro e oltre il 90% è convinto che le condizioni lavorative resteranno complicate ancora per tutto il 2015. I timori per la situazione economica del Paese e per la salute si attestano rispettivamente al 12% e al 9% in termini di importanza per l'individuo.

Tutta questa incertezza non può che contrarre (ulteriormente?) i consumi, con l'87% degli italiani che dichiara che con questa crisi questo "non è un buon momento per fare questi" mentre si taglia su abbigliamento, pasti fuori casa e intrattenimento.

Resta da vedere se il Quantitative Easing di Draghi riuscirà a portare nel sistema economico quella liquidita necessarià a lubrificare gli arruginiti meccanismi dell'economia italiana, rilanciando la fiducia di tutti i suoi attori, dalle imprese ai cittadini, riavviando i consumi e inondando il mercato del bene più scarso: la fiducia.

venerdì 23 gennaio 2015

Effetto Quantitative Easing

L’avvenimento è tra quelli che segnano il corso economico e storico di un paese, innescando effetti globali di lungo periodo. Finalmente, il Quantitative Easing è arrivato. Una delle testate più rinomate a livello mondiale, The Economist, ha pubblicato un articolo come “Meglio tardi che mai”. Ebbene si, in molti aspettavano da tempo la manovra di politica monetaria della BCE. Non mancano però le opinioni contrastanti e diversi economisti rimarcano che, senza riforme strutturali all’interno di ciascun stato dell’Unione Europea, l’effetto desiderato futuro potrà rischiare di non concretizzarsi.

Ignazio Visco, governatore della Banca d’Italia, da Davos, sottolinea come "il piano della Bce da 60 miliardi al mese mostra determinazione" e "sarà efficace per entità e durata". Allo stesso tempo mantiene le riflessioni legate alla situazione europea odierna che vede lontani gli obiettivi di inflazione. Ha quindi aggiunto “"Bisogna quindi lavorare per essere più uniti dal punto di vista fiscale e politico, non basta la politica monetaria". Indica quindi la cooperazione come unica strada per poter sfruttare al meglio le condizioni economiche favorevoli alimentate dall’espansione monetaria.

I mercati sembrano rispondere con grande entusiasmo all’annuncio di Draghi, come riportato dall’outlook generale da ilMessaggero:” Soffre l'Euro / Dollaro USA, che è scivolato sotto la soglia degli 1,12, ossia sui minimi da novembre 2003. Scambi in retromarcia l'oro, che scivola a 1.290,4 dollari l'oncia. Seduta in frazionale ribasso per il petrolio (Light Sweet Crude Oil), che lascia, per ora, sul parterre lo 0,26% dopo la notizia della morte del re dell'Arabia Saudita. Balza in alto lo Spread, posizionandosi 116 punti base, con un incremento di 4 punti base, con il rendimento del BTP decennale pari all'1,51%”. Le notizie positive arrivano inoltre dalla seduta positiva della giornata di oggi delle principale piazze azionarie europee:” su di giri Francoforte (+2,05%), resistente Londra, che segna un piccolo aumento dello 0,53%, mentre Parigi vanta un incremento dell'1,93%. Lieve aumento per la Borsa di Milano, che mostra sul FTSE MIB un rialzo dello 0,24%; in lieve aumento anche il FTSE Italia All-Share, che si porta a 21.729 punti. In rialzo il FTSE Italia Mid Cap (+1,11%), come il FTSE Italia Star (2,0%). A Piazza Affari il controvalore degli scambi nella seduta odierna è stato pari a 4,86 miliardi di euro, in calo del 4,11%, rispetto ai 5,07 miliardi della vigilia; per quanto concerne i volumi, questi si sono attestati a 1,83 miliardi di azioni, rispetto ai 1,95 miliardi precedenti. A fronte dei 223 titoli trattati sulla piazza milanese, 72 azioni hanno chiuso in calo, mentre 139 azioni hanno portato a casa un incremento. Poco mosse le altre 12 azioni del listino italiano. Sulla borsa milanese si distinguono i settori Immobiliari, con un +5,13% sul precedente, Telecomunicazioni (+4,53%) e Automotive (+3,16%)”.

Come previsto, l’euforia dell’effetto annuncio innalza l’appetito degli investitori, dando speranza alla ripresa economica  tanto attesa in questi anni. Sembrerebbe dunque, che nei prossimi mesi si potrà assistere ad un rally generalizzato sui mercati europei.

lunedì 19 gennaio 2015

La Svizzera corre ai ripari contro il QE della BCE

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La scelta del paese elvetico di non difendere più il tasso di cambio del Franco contro l'Euro (che è sempre stato mantenuto a 1,20) ha decisamente scosso i mercati.

La decisione presa dalla Banca Nazionale Svizzera nella scorsa settimana ha portato il Franco Svizzero ad un apprezzamento nei confronti della moneta comunitaria di circa il 30% e questa situazione rischia di mettere in crisi gli esportatori (sia di merci che di servizi) d'oltralpe che indubbiamente con un Franco troppo forte rischiano di vedere ridurre la domanda estera.

Proprio il timore del crollo dell'export ha fatto registrare un calo di ben 13 punti percentuali presso la Borsa di Zurigo.

Ma le conseguenze rischiano di essere pesanti anche oltre i confini della confederazione, infatti, specialmente nei paesi dell'est europeo, sono molto popolari i mutui in Franchi che hanno da sempre garantito tassi più convenienti.

Si pensi che, come scrive ilSole24Ore, ben il 37% delle famiglie ungheresi hanno stipulato un mutuo in franchi svizzeri ed il deprezzamento del fiorino risulta un vero e proprio salasso per i cittadini dell'Ungheria.

La Croazia, che ha lo stesso problema con i propri mutuatari è già corsa ai ripari. Infatti la Banca Centrale Croata ha deciso di legare per un anno la propria valuta a quella elvetica agli stessi valori pre-apprezzamento. Anche la Polonia ha già annunciato che prevede di intraprendere misure straordinarie per difendere i propri cittadini che hanno stipulato mutui in Franchi.

Ma cosa ha portato la Bns a scaricare il tasso di cambio fisso con l'Euro?

La causa scatenante è stata sicuramente la sempre più probabile azione di Quantitative Easing da parte della BCE, che si verificherebbe in un periodo dove l'Euro sta perdendo notevolmente terreno nei confronti del dollaro. L'effetto dell'ulteriore deprezzamento dell'Euro nei confronti della moneta USA non può non avere effetti sull'economia svizzera in quanto negli ultimi anni, per frenare appunto l'apprezzamento del Franco, ha acquistato notevoli quantità di valuta comunitaria.

Inoltre, come la storia insegna in casi come questi, si sarebbero potuti verificare prepotenti attacchi speculativi nei confronti della moneta elvetica.

Certamente la nazione svizzera ha dimostrato di poter influenzare pesantemente tutta l'area Euro con le proprie scelte di politica monetaria.

giovedì 15 gennaio 2015

Blackberry: Samsung medita l'acquisto

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Sembra incredibile, ma sembra esserci qualcuno desideroso di comprare BlackBerry, ex leader degli smartphone per il segmento business, ormai in caduta libera sia in termini di quota di mercato che di risultati finanziari. Questo qualcuno, secondo i rumors, non sarebbe certamente un signor nessuno: si parla infatti di Samsung Electronics.

La notizia ha inevitabilmente e immediatamente scosso il mercato degli smartphone e certamente ne hanno risentito anche le quotazioni dei titoli delle due aziende, con Blackberry in partcolare che ha visto registrare una seria impennata immediatamente appreso il rumor da parte dei mercati, per poi regredire pesantemente alla riapertura dopo la smentita della stessa azienda.

Verità o fantasia, cosa potrebbe spingere il colosso coreano verso una simile idea? La risposta è semplice: i brevetti. Esattamente come accaduto per Google con Motorola, il gigante high-tech si porterebbe a casa un'importantissima bagaglio di proprietà intellettuale, principalmente in tema di sicurezza.

Proprio la tecnologia relativa alla sicurezza sarebbe infatti il principale interesse di Samsung che vede in questa la chiave necessaria per vincere il mercato business, obiettivo di lungo termine già dichiarato dal produttore coreano. L'azienda ha infatti coerentemente spinto e pubblicizzato in maniera molto aggressiva la sua suite di sicurezza mobile, KNOX, con l'intenzione di attrarre e convincere la clientela aziendale ma i dubbi sulla piattaforma Android di Google, attualmente non ritenuta all'altezza di fornire garanzie in tema di sicurezza dei dati, ne hanno frenato la presa sul mercato.

Comprare BlackBery, cambierebbe certamente lo scenario. Se c'è qualcosa sulla quale BlackBerry è stata ed è relativamente indiscuitibile è la sicurezza dei suoi dispositivi. Perfino Obama, il presidente degli Stati Uniti, usa un BlackBerry.

Nel frattempo, mentre Apple ha fatto significativi passi avanti nel portare iPhone e iPad verso il mercato aizende, i dispositivi Android sembrano ancora in netto ritardo. Nonostante ciò, Apple stessa non è stata immune da scandali relativi alla sicurezza dei dati, si ricorda il caso della pubblicazione di foto di alcuni VIP rubate dai rispettivi account iCloud.

Portare BlackBerry in Samsung vorrebbe dire certamente conferire un vantaggio importante, se non decisivo, in questa battaglia per i clienti premium. Qualcosa che nemmeno Apple al momento può dire di avere.

I veri sconfitti potrebbero alla fine essere Google e Microsoft. Google perchè vedrebbe allontanarsi uno dei principali partner nello sviluppo e la diffusione del sistema Android e Microsoft in quanto perderebbe ulteriore appeal nel mercato che una volta era suo esclusivo monopolio: la clientela business.

martedì 13 gennaio 2015

Quando il petrolio toccherà terra?

Il petrolio è prossimo ad un minimo di 6 anni dopo aver ricevuto un altro colpo dalle dichiarazioni dei produttori OPEC che hanno rimarcato come la strategia di mantenere gli attuali livelli di produzione si protrarrà a lungo, allontanando ulteriormente un rally positivo dei prezzi del greggio.

Il Brent Crude Oil, considerato benchmark internazionale, è crollato di oltre il 60% da metà giugno arrivando al livello visto ad inizio 2009.

Le ultime informazioni che fanno tremare gli investitori arrivano dalla conferenza di Abu Dhabi dove Suhail bim Mohammed al-Mazroui, ministro delle risorse energetiche degli Emirati Arabi Uniti, ha rafforzato la decisione presa dall’OPEC a Vienna nello scorso novembre.

Ma fino a quando durerà tale livello dei prezzi? Storicamente le previsioni a medio e lungo termine del petrolio non hanno avuto grande conferma, sia che provengano dai produttori sia che derivino da analisi svolte da investitori esperti del settore. Quel che sembra certo è che sarà fondamentale valutare gli eventi nel corso del primo semestre 2015 quando, una volta raccolti maggiori dati a disposizione sulla produzione Shale Oil americana, si potranno delineare nuove manovre da parte dei paesi del medio oriente.

Intanto sono presenti due linee di pensiero contrapposte. La prima vede l’andamento dei prezzi stabile sui prezzi attuali per lungo tempo, supportata da un cambiamento nei fondamentali del mercato come la sovra-produzione e una domanda stagnante. Questa visione viene sposata anche da Goldman Sachs e lunedì 12 gennaio ha rivisto le previsioni 2015 del prezzo Brent Oil da $83 a $50 al barile. Dal lato opposto si schiera un altro gruppo di esperti tra i quali spicca il nome di Andrew J. Hall, guru delle commodities e in particolare del petrolio. La previsione sottolinea come il crollo del petrolio non sia strutturale e che le dinamiche di mercato non riescano a generare effetti di tale dimensione e così rapidamente. Al contrario, gli andamenti dei future sul petrolio sarebbero guidati da azioni speculative volte ad aumentale la tensione geo-politica nei confronti di paesi come America e Russia. A questo si aggiunge l’effetto “panico” dei mercati che amplificherebbe la caduta dei prezzi.

La previsione a medio termine sembra quantomeno complessa e rappresenta una forte scommessa per i mercati. Il piano terra di questa caduta libera dei prezzi sembra essere intorno a quota $40 al barile, e numerosi hedge fund hanno incrementato enormemente le scommesse su posizioni di acquisto nei propri portafogli. Occhi puntati dunque ai prossimi appuntamenti internazionali su temi energetici e massima attenzione a variazioni positive degli andamenti che potrebbero innescare un nuovo rally dei prezzi.

domenica 11 gennaio 2015

Cina in aiuto del Venezuela in crisi

Nicolas Maduro, Xi Jinping

Come anticipato in nel post pubblicato riguardo il disgelo tra Cuba e gli Stati Uniti il crollo del prezzo del petrolio al barile ha messo in notevole difficoltà l'economia venezuelana, dove la moneta ufficiale, il bolivar, è legato al dollaro USA tramite un tasso di cambio fisso. Ciò di fatto impedisce la svalutazione discrezionale della moneta del paese guidato da Nicolas Maduro.

Si consideri inoltre che il 95% delle esportazioni di Caracas sono di natura petrolifera scambiate, per l'appunto, con dollari americani.

La situazione è talmente critica (la produzione è ormai ferma da un anno l'inflazione ha raggiunto il 60%) che sul paese sta cominciando ad aleggiare lo spettro del default. Un possibile fallimento del Venezuela però impatterebbe anche sui paesi partner, tra cui spicca la Cina.

Pechino risulta essere non solo il secondo importatore di petrolio venezuelano, ma anche il suo principale investitore. Infatti le relazioni di cooperazione economica tra Cina e Venezuela sono ormai consolidate da anni. Nel 2007 è stato istituito un fondo di cooperazione cino-venezuelano che prevede circa 40 miliardi di dollari destinato a progetti nel territorio del partner venezuelano.

Data la forte posizione di interesse per il governo cinese ecco che Maduro, che concorrerà alle incombenti elezioni per prolungare il suo mandato, è corso a chiedere aiuto al premier Xi Jinping, che ha prontamente risposto con un fondo di investimento di circa 17 miliardi di euro destinato a progetti nel settore energetico.

Come indicato nell'articolo da Roberto da Rin (IlSole24Ore) una parte di questo fondo di investimento sembra essere in realtà una linea di credito mascherata.

Questa azione è perfettamente in linea con la politica estera implementata negli ultimi anni dal governo cinese e si aggiunge alle già note operazioni di investimento in Africa e nel Sud Est Pacifico che consolidano l'influenza politico economica della nazione guidata da Xi Jinping nello scenario economico globale.

mercoledì 7 gennaio 2015

E alla fine arrivò la deflazione

eurovignette-3 Oggi l’Eurostat ha pubblicato il dato relativo all’andamento dei prezzi al consumo nell’area dell’euro nel mese di dicembre (http://ec.europa.eu/eurostat/documents/2995521/6455292/2-07012015-BP-EN.pdf/7a179764-787e-4a10-a72b-0abde719ee44): per la prima volta dall’ottobre 2009 i prezzi al consumo (misurati dall’indice armonizzato dei prezzi al consumo) hanno mostrato un segno negativo. Su base annuale i prezzi sono diminuiti dello 0,2% (dato preliminare) in forte calo rispetto al +0,3% registrato a novembre. E’ vero. Il mercato si attendeva un segno negativo (i pool di Reuters mostravano un valore mediano di -0,1), anche alla luce dei deludenti dati sull’inflazione tedesca pubblicati lunedì scorso (http://www.milanofinanza.it/news/inflazione-tedesca-ai-minimi-da-5-anni-il-qe-si-avvicina-201501051457045513).

Anche se la riduzione dei prezzi a dicembre è legata al forte calo della componente energetica (-6,3% e ancora non incorpora il calo sotto i 50 dollari al barile di questi giorni!), con l’inflazione core che si attesta allo 0,7%,  la BCE non potrà astenersi dall’annunciare nuove importanti misure, sin dal prossimo meeting di politica monetaria previsto per il 22 gennaio prossimo.

Il dato odierno si inserisce, infatti, in una serie di dati economici che mostrano come l’economia della moneta unica sia ancora lontana da ogni minima ripresa: la spagna risulta ormai in profonda deflazione (-1,1%  - http://www.controinformazione.info/la-spagna-in-violenta-deflazione-cosa-ci-raccontava-draghi/); in Italia i prezzi a dicembre sono rimasti invariati, ma la disoccupazione ha raggiunto un nuovo record storico (13,4%; 44% quella giovanile); la Germani non è immune da questi effetti con un tassi di inflazione ormai prossimo allo zero (anche se i dati sul mercato del lavoro odierni hanno mostrato il più basso tasso di disoccupazione dal 1990). Tutto questo è accompagnato dall’evoluzione della situazione politica in Grecia (grexit è un vecchio neologismo) e dall’andamento del prezzo petrolio i quali potrebbero creare, da un momento all’altro, degli shock significativi e difficili da gestire.

Il riflesso (positivo) di questa situazione è il deprezzamento dell’euro nei confronti del dollaro statunitense: con due economie che stanno vivendo cicli completamente divergenti (in rapida crescita quella statunitense, in una situazione di stagnazione quella europea) e due politiche monetarie diametralmente opposte (ultra espansiva e in attese di quel “temibile” programma di acquisto di titoli di stato che va sotto il nome di Quantitative Easing quella della BCE; restrittiva, o almeno in procinto di esserla, quella della FED) il deprezzamento della moneta unica non poteva che essere la naturale conseguenza.

In soli tre mesi l’euro si è deprezzato di oltre il 9% (da 1,30 a 1,18 contro dollaro) e tale andamento non potrà che continuare nei prossimi mesi (non mi meraviglierei di vedere l’euro sotto la parità nell’arco di due anni). L’euro continuerà a deprezzarsi, anche alla luce di quello che succederà in Grecia. Reputo assai improbabile un’uscita della Grecia dall’euro (e la creazione quindi di un nuovo euro tendenzialmente rivalutato) per via del precedente storico che comporterebbe con il rischio di smembrare l’unione. Ritengo tuttavia assai probabile una vittoria di Tsipras; vittoria che sarebbe finalizzata piuttosto ad allentare il costo che i cittadini della penisola ellenica stanno pagando per evitare un altro default (uno in realtà già c’è stato, anche se mascherato). Anche in quest’ottica va interpretato il cambiamento della strategia comunicativa del suo leader (http://www.ilfattoquotidiano.it/2015/01/07/grecia-tsipras-sposa-linea-draghi-tutto-possibile-per-salvare-euro/1319004/).

Ricapitolando: crescita nulla, deflazione insistente per via del calo del prezzo del petrolio, uno stato appartenente all’euro area in procinto di fallire. Basterà la bacchetta magica della BCE per ribaltare questa situazione? Si dice spesso che la Banca Centrale in queste situazione può soltanto “comprare” tempo, in attesa che facciano effetto altre politiche economiche (fiscali, sociali,…).Il 16 gennaio uscirà il dato definito sull’inflazione dell’area, il 25 ci saranno le elezioni in Grecia. In mezzo la BCE dovrà inventarsi qualcosa, comprare TANTO tempo (e non solo!) e recuperare quella credibilità di banca centrale che una persistente deflazione potrebbe, giustamente, mettere in discussione ( siamo infatti ben lontani da quel 2% obiettivo statutario della BCE. E’ vero. Quello è un obiettivo definito del medio periodo.  Ma prima o poi questo medio periodo dovrà pure arrivare?

sabato 3 gennaio 2015

Neo colonialismo artico: la Danimarca rivendica il Polo Nord

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Il 15 Dicembre 2013 la Danimarca, tramite il proprio ministro degli esteri Martin Lindegaard, ha inoltrato presso la sede ONU a New York un dossier di rivendicazione di un territorio di circa 900 mila chilometri comprendenti la contesa Dorsale di Lomonosov, una catena montuosa subacquea che con la sua lunghezza di 1800 chilometri attraversa il Polo Nord geografico.

Secondo i danesi, che hanno fatto condurre lo studio che ha portato al dossier, l'area interessata è geologicamente parte della Groenlandia, già possedimento della Danimarca.

Nell'area polare artica sono in totale cinque i paesi ai quali è riconosciuta la possibilità di rivendicazione di una parte del territorio: Danimarca, Stati Uniti (Alaska), Russia, Norvegia e Canada.

Le cinque nazioni elencate hanno concordato, nel 2008, una risluzione all'interno degli organi istituzionali delle Nazioni Unite. Tuttavia la Commissione ONU che si occupa dei limiti delle piattaforme continentali non risulta competente per i territori in disputa e quindi è necessario un preventivo accordo tra i paesi coinvolti.

Attualmente, ad esclusione della Norvegia e degli Stati Uniti, tutti questi paesi hanno avanzato richieste di riconoscimento presso le Nazioni Unite.

Ma come mai quest'area è cosi interessante?

Il surriscaldamento globale sta lentamente facendo scogliere i ghiacci che compongono l'area artica e questo permette la creazione di nuove rotte navigabili che porterebbero una notevole forza commerciale a chi ne avesse la proprietà. Si pensi che secondo una nuova rotta passante per il Mar Glaciale Artico si potrebbe raggiungere l'Asia dall'Europa in 35 giorni, meno dei 48 necessari utilizzando il canale di Suez, secondo la tratta tradizionale.

Inoltre uno studio del US Geological Survey che nel territorio Artico ci siano circa il 22% delle risorse energetiche del globo non ancora scoperte. In particolare, come riportato da un articolo di Business Insider (http://www.businessinsider.com/the-competition-for-arctic-resources-2014-6?IR=T), nell'area considerata ci dovrebbero essere il 15% del petrolio, il 30% del gas naturale e il 20% del gas naturale liquefatto.

Di certo la questione non sarà risolta in tempi brevi, infatti si prevedono decenni di trattative prima di riuscire a trovare il bandolo della matassa

giovedì 1 gennaio 2015

Ridurre il debito con i Big Data

Nei giorni della prima cyber guerra mondiale, che dopo i recenti attacchi al Playstation Network, la piattaforma di gaming online di casa Sony assume sempre più le sembianze di un conflitto tra la Sony e il resto del mondo, più che una guerra tra Stati, il governo italiano, assecondando le volontà dell'esecutivo Renzi, porta online il sito soldipubblici.gov.it, rendendo "open" una moltitudine di dati sulla spesa degli enti pubblici italiani.

Per quanto la notizia possa essere passata in secondo piano rispetto ad altre questioni come, ad esempio, le dimissioni del capo di stato italiano e l'annunciato patto tra Pd e Forza Italia sulla possibile nomina di Prodi quale successore di Napolitano, si aprono interessanti scenari fantascientifici.

Letto e tradotto, queste voci di spesa, raccolte tutte insieme, altro non costituiscono che un gigantesco database di informazioni, agilmente classificabili come "big data".

Nel mondo moderno, nell'Internet di oggi, i "big data" sono nel core dei prodotti e dell'enterprise value dei padroni del web. Da Google a Facebook, passando per Apple, i "big data" sono al contempo la fonte e il differenziale del vantaggio competitivo che ognuna di queste aziende può vantare rispetto al suo mercato di riferimento. Cosa sarebbe Google se non potesse analizzare, quotidianamente, miliardi di informazioni provenienti dalle pagine web di tutto il mondo? Cosa troveremmo in Facebook se tutti i contenuti pubblicati da noi e dai nostri amici non fossero salvati, organizzati, filtrati ed elaborati per proporci l'esperienza di navigazione che utilizziamo quotidianamente? La forza e il valore di queste aziende derivano praticamente solo da questa incredibile capacità di analisi dei dati. Raccogliere, leggere, capire e interpretare i dati è il core business di queste società multimilionarie.

Che mondo sarebbe, quindi, senza i "big data"? Un mondo senza Google e Facebook, questo è certo. I due giganti del web, tra gli altri, "regalano" i propri servizi in cambio di informazioni che una volta raccolte elaborano per riproporle sotto forma di pubblicità ipercontestualizzata e quindi, ad alta conversione. Persino gli smartphone di Apple & co. non potrebbero esistere così come li conosciamo oggi: app e contenuti gratuiti sono possibili solo in quanto scambiati con informazioni rilevanti, come ad esempio la localizzazione, che i dispositivi evoluti condividono con il provider.

Fin qui, tutto vero, anzi, verissimo. Ora, proviamo ad immaginare uno scenario, fantascientifico appunto, in cui i dati sulla spesa pubblica resi disponibili dal Governo, vengono elaborati utilizzando i complessi algoritmi e il know-how analitico di queste megacorporation. Immaginiamo per un attimo di chiamare Google e chiedergli di analizzare i "big data" sulla spesa pubblica italiana e chiediamoci cosa potrebbe succedere.

Non solo, immaginiamo di renderli disponibili "open" e strutturati alle università, ai ricercatori, a chiunque e di raccoglierne i contribuiti analitici, magari premiando i migliori. Immaginiamo di avere un mondo di persone e di aziende che studiano, ragionano e lavorano con questi dati.

Immaginiamo tutto questo e chiediamoci se, oltre che contare i like sulla nostra foto profilo e suggerirci nuove amicizie, questa potenza analitica e di calcolo non può fare altro per noi.