giovedì 1 gennaio 2015

Ridurre il debito con i Big Data

Nei giorni della prima cyber guerra mondiale, che dopo i recenti attacchi al Playstation Network, la piattaforma di gaming online di casa Sony assume sempre più le sembianze di un conflitto tra la Sony e il resto del mondo, più che una guerra tra Stati, il governo italiano, assecondando le volontà dell'esecutivo Renzi, porta online il sito soldipubblici.gov.it, rendendo "open" una moltitudine di dati sulla spesa degli enti pubblici italiani.

Per quanto la notizia possa essere passata in secondo piano rispetto ad altre questioni come, ad esempio, le dimissioni del capo di stato italiano e l'annunciato patto tra Pd e Forza Italia sulla possibile nomina di Prodi quale successore di Napolitano, si aprono interessanti scenari fantascientifici.

Letto e tradotto, queste voci di spesa, raccolte tutte insieme, altro non costituiscono che un gigantesco database di informazioni, agilmente classificabili come "big data".

Nel mondo moderno, nell'Internet di oggi, i "big data" sono nel core dei prodotti e dell'enterprise value dei padroni del web. Da Google a Facebook, passando per Apple, i "big data" sono al contempo la fonte e il differenziale del vantaggio competitivo che ognuna di queste aziende può vantare rispetto al suo mercato di riferimento. Cosa sarebbe Google se non potesse analizzare, quotidianamente, miliardi di informazioni provenienti dalle pagine web di tutto il mondo? Cosa troveremmo in Facebook se tutti i contenuti pubblicati da noi e dai nostri amici non fossero salvati, organizzati, filtrati ed elaborati per proporci l'esperienza di navigazione che utilizziamo quotidianamente? La forza e il valore di queste aziende derivano praticamente solo da questa incredibile capacità di analisi dei dati. Raccogliere, leggere, capire e interpretare i dati è il core business di queste società multimilionarie.

Che mondo sarebbe, quindi, senza i "big data"? Un mondo senza Google e Facebook, questo è certo. I due giganti del web, tra gli altri, "regalano" i propri servizi in cambio di informazioni che una volta raccolte elaborano per riproporle sotto forma di pubblicità ipercontestualizzata e quindi, ad alta conversione. Persino gli smartphone di Apple & co. non potrebbero esistere così come li conosciamo oggi: app e contenuti gratuiti sono possibili solo in quanto scambiati con informazioni rilevanti, come ad esempio la localizzazione, che i dispositivi evoluti condividono con il provider.

Fin qui, tutto vero, anzi, verissimo. Ora, proviamo ad immaginare uno scenario, fantascientifico appunto, in cui i dati sulla spesa pubblica resi disponibili dal Governo, vengono elaborati utilizzando i complessi algoritmi e il know-how analitico di queste megacorporation. Immaginiamo per un attimo di chiamare Google e chiedergli di analizzare i "big data" sulla spesa pubblica italiana e chiediamoci cosa potrebbe succedere.

Non solo, immaginiamo di renderli disponibili "open" e strutturati alle università, ai ricercatori, a chiunque e di raccoglierne i contribuiti analitici, magari premiando i migliori. Immaginiamo di avere un mondo di persone e di aziende che studiano, ragionano e lavorano con questi dati.

Immaginiamo tutto questo e chiediamoci se, oltre che contare i like sulla nostra foto profilo e suggerirci nuove amicizie, questa potenza analitica e di calcolo non può fare altro per noi.

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