Si ritorna a parlare di privacy su internet e di sicurezza sul trattamento
dei dati con la Corte UE che proprio in questi giorni si è pronunciata su Safe
Harbour, l'intesa tra USA e Europa che da 15 anni regolamenta il trasferimento
dei dati tra i due continenti, definendola illegale.
La direttiva europea sulla
protezione dei dati proibisce infatti che si spostino dati personali di europei
fuori dall’Europa qualora vengano a mancare adeguate protezioni della privacy.
Tuttavia dal 1998 gli Stati Uniti e l’Unione europea hanno siglato un accordo (il
cosiddetto Safe Harbour) che consente alle aziende americane che lo
sottoscrivono – ben più 4mila - di trasferire dati dall’Europa all’America fin
tanto che rispettino una serie di principi. Per anni dunque si è dato per
scontato che questa autocertificazione delle aziende americane bastasse a
garantire il diritto alla privacy dei cittadini europei.
Ma oggi cambia la musica. In virtú della sentenza emessa dalla Corte UE, i cittadini europei potranno chiedere di vietare a Facebook, Google e ad altri colossi del web di conservare negli Stati Uniti i dati dei propri iscritti. Questa presa di posizione rovescia una decisione del 2000 della Commissione europea che riteneva adeguato il livello di protezione dei dati offerto dagli americani e consentiva il trasferimento oltreoceano di informazioni relative ai cittadini europei.
Ma oggi cambia la musica. In virtú della sentenza emessa dalla Corte UE, i cittadini europei potranno chiedere di vietare a Facebook, Google e ad altri colossi del web di conservare negli Stati Uniti i dati dei propri iscritti. Questa presa di posizione rovescia una decisione del 2000 della Commissione europea che riteneva adeguato il livello di protezione dei dati offerto dagli americani e consentiva il trasferimento oltreoceano di informazioni relative ai cittadini europei.
Iniziano a tremare quindi i grossi player del web che finora hanno sfruttato la disciplina per trasferire dati a carattere personale di origine europea negli Stati Uniti al posto di conformarsi alle più vigorose normative comunitarie in materia di privacy.
Il processo che ha portato a questa decisione è iniziato nel 2011 quando Max
Schrems, uno studente austriaco di giurisprudenza, dopo lo scandalo del
programma di sorveglianza americano svelato da Edward Snowden, ha avviato una
battaglia contro Facebook Irlanda sostenendo che
come utente Facebook i suoi diritti erano stati violati dai programmi
americani. Vistosi ignorato dall’authority irlandese per la protezione dei
dati, Schrems ha portato il caso davanti a una corte irlandese fin poi ad
approdare alla Corte europea di giustizia che ha infine accolto la sua
richiesta.
Ma cosa succederà adesso in concreto?
Le autorità nazionali avranno più potere per garantire un’adeguata
protezione della privacy. Da domani chiunque potrà presentare delle
segnalazioni come quelle di Schrems e verificare con le autorità la sicurezza
del trasferimento dei propri dati all’estero. Se la gestione verrà giudicata
non adeguata il trasferimento dati potrà essere bloccato. Questo potrebbe
portare a una crescente localizzazione dei dati di cittadini europei all’interno
dell’Unione europea e un cambiamento dei modelli aziendali di gestione dei
dati.
Come evidenzia il quotidiano La Stampa, tuttavia potrebbero verificarsi
anche alcuni escamotage: ad esempio le aziende potrebbero modificare i
contratti con gli utenti europei, chiedendo il loro consenso per trattare i
dati all’estero.
Staremo a vedere come reagiranno i grandi colossi del web e quali strategie
utilizzeranno per continuare ad utilizzare i nostri dati, nonostante i vincoli
legislativi.
Ciao signora e signore.
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